Per la Corte di Cassazione il referendum che chiede l'abrogazione totale della legge sull'Autonomia differenziata s'ha da fare. La decisione è arrivata ieri, e ha preso di sorpresa chi pensava che, dopo la pronuncia della Consulta che ha dichiarato illegittime una serie di disposizioni della legge Calderoli, sostanzialmente modificandola (anzi, secondo l'opposizione «smontandola» in toto, come ribadisce ancora la leader Pd Elly Schlein), il quesito non avesse più ragione di sussistere. Invece per la Cassazione resta ammissibile, almeno fino alla pronuncia di merito della Corte Costituzionale che arriverà entro il 20 gennaio: «Lo scalino più arduo» secondo l'ex presidente della Consulta Giovanni Maria Flick.
Esultano le opposizioni (con significative eccezioni), mentre il centrodestra fa buon visto a cattivo gioco e raccoglie il guanto di sfida: «Nessuno smacco per il governo», dice il presidente del Senato Ignazio La Russa. Anche perché, fanno notare in molti dal centrodestra, in realtà la pronuncia della Cassazione smentisce i trionfalismi di chi aveva già dichiarato «morta e sepolta» (come ripete lo schleiniano Alessandro Zan) la legge Calderoli, dopo le forti correzioni imposte dalla Consulta a novembre. Invece, «la legge c'è ed è immediatamente applicabile», rivendica lo stesso autore Roberto Calderoli.
La maggioranza si dice pronta alla sfida del referendum, i capi del centrosinistra sognano una «spallata» referendaria al governo. Ma se Elly Schlein plaude alla «buona notizia», anche nel Pd - soprattutto al Nord - affiorano forti dubbi su una tenzone destinata a lacerare il paese (e le stesse coalizioni politiche) tra nordisti e sudisti. Il neo-governatore dem dell'Emilia Romagna, Michele De Pascale, suona l'allarme: vale la pena di «andare a un referendum così lancinante? Non possiamo fermarci un secondo discutere insieme le regole del gioco, e fare un 'tagliando' al Titolo V della Carta?». Anche perché, ricorda Calderoli, il referendum «poi bisogna vincerlo», e c'è da scalare la montagna del quorum: 25 milioni di votanti, «il doppio di quanto serve a vincere le elezioni», sottolinea allarmato un alto dirigente Pd, secondo il quale il referendum «è un rischio grosso anche per noi», mentre - dopo l'intervento della Consulta - il modello di Autonomia «diventa perfettamente in linea con quel che pensano anche i nostri amministratori del Nord». Il governatore veneto Luca Zaia già anticipa il messaggio: «Sarà fondamentale che chi crede nell'autonomia non vada a votare».
Insieme a quello sull'autonomia, è stato dato via libera ai referendum della Cgil sul Jobs Act e a quelli promossi da una serie di partiti e associazioni della sinistra sulla riduzione dei tempi e dei requisiti per ottenere la cittadinanza italiana. Una sorta di pacchetto unico di istanze dell'opposizione che spera in una stagione di lotta frontale e molto «radical» contro il governo Meloni. Tant'è che a esultare più fragorosamente è il capo della Cgil Maurizio Landini, che già si vede alla testa dell'armata referendaria di primavera: «Una grande opportunità per il paese». E soprattutto per lui: senza il traino del referendum sull'autonomia, infatti, le sue speranze di portare le masse a votare sul quesito sul Jobs act sono pressoché nulle.
Tanto che tra giuristi ed esperti di referendum, anche nel centrosinistra, c'è chi come l'ex radicale Peppino Calderisi parla di «decisione ideologica», che smentisce la giurisprudenza, per dare un aiutino «a Landini nella contesa per la leaderhip della sinistra».
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