Un Gesù Bambino con la kefiah e un Gesù crocifisso con il talled.
In 24 ore o poco più, in tempo d'Avvento, Papa Bergoglio ha reso omaggio in Vaticano a un bambinello adagiato su un drappo palestinese e a un Cristo che nel 1938 - all'indomani della «Notte dei Cristalli» - è stato dipinto da Marc Chagall come un martire ebreo che riassume in sé le persecuzioni patite dal suo popolo, fra i pogrom passati e - profeticamente - lo sterminio imminente per mano nazista.
Per qualcuno è una sorta di «par condicio» quella di Bergoglio, un'equidistanza dei gesti, in un momento di tensioni e suscettibilità diplomatiche. Per altri è il tentativo di tenere insieme tutti, di pregare per tutti coloro che in ogni dove patiscono il «dramma della guerra». Non si può dire che abbia destato sorpresa, venerdì, l'immagine del Papa assorto, sulla sua sedia a rotelle, di fronte a quella natività «pro-palestinese»: un allestimento in cui Gesù bambino dorme su un drappo bianco e nero che rimanda al tessuto del copricapo arabo noto come simbolo della causa palestinese, ormai di moda proprio come la narrazione di un popolo «occupato», o peggio distrutto da una potenza imperialista, quella israeliana ovviamente.
Il presepe allestito nell'aula Paolo VI proviene da Betlemme, e Bergoglio lo ha inaugurato incontrando anche le delegazioni che hanno donato i simboli natalizi per San Pietro e per l'aula. Fra queste - come si legge nel resoconto degli organi della Santa Sede - «la delegazione dell'ambasciata dello Stato di Palestina presso la Santa Sede» con i rappresentanti speciali del presidente di Palestina, Abu Mazen che - ha ricordato Francesco - «è venuto parecchie volte qui». «La martoriata Palestina» ha aggiunto (con lo stesso aggettivo con cui ricorda la «martoriata Ucraina»).
Nell'ultimo anno, dopo il 7 ottobre, questa impostazione - che piace a sinistra - è stata spesso rimproverata alla Chiesa, ogni qual volta il Vaticano ha mostrato di simpatizzare per la parte palestinese, facendo coincidere le ragioni degli arabi e le ragioni della «pace». E le autorità del mondo ebraico hanno addebitato alla Chiesa «passi indietro» nel dialogo ebraico-cristiano.
Ma ieri, a sorpresa, Bergoglio ha visitato in via del Corso l'esposizione di quello che pare sia il suo quadro prediletto: la «Crocifissione bianca», capolavoro dell'ebreo russo-francese Chagall, artista che ha dipinto un Cristo ebreo in tutto e per tutto - come in effetti storicamente era - crocifisso con un drappo al posto della corona di spine e con il tallet, il tipico manto di preghiera ebraico. Nel dipinto Gesù campeggia come una speranza: in una scena di caos e distruzione, fra sinagoghe devastate e torah in fiamme, la croce diventa in fascio di luce e Cristo (pur morto) emana un bagliore di quiete: appare come un porto sicuro per tutti, anche per un barcone di fuggiaschi che sembra anticipare i drammatici flussi migratori di questi tempi, certo un tema che a Bergoglio sta a cuore.
Di sicuro l'allestimento, in vista del Giubileo lo ha voluto il Dicastero per l'Evangelizzazione del pro-prefetto Rino Fisichella, che ha parlato di «significati universali» e di una rappresentazione di Gesù «come figura centrale della fede cristiana, ma anche come «simbolo di sofferenza e speranza del popolo ebraico».
Forse, quello che la politica e le guerre dividono, l'arte e la speranza possono unire. Intanto fa notizia la protesta di quattro attiviste spagnole che manifestavano contro le corride. Vicine all'auto papale, sono state fermate dalla sicurezza. E poi denunciate.
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