«Beh sì, forse girare le spalle al ministro e uscire all'inaugurazione dell'anno giudiziario è stato un po' sopra le righe, ma semmai ne riparliamo martedì». Perché proprio martedì? Semplice, perché oggi, domani e fino alle 13 del 28 gennaio i magistrati italiani sono chiamati alle urne per eleggere il direttivo dell'Anm e in questo momento la contestazione della riforma Nordio con la separazione delle carriere, «tira» voti più di ogni altra cosa. Così, anche i più moderati, se hanno dubbi sulle dure proteste organizzate dal sindacato delle toghe, dall'esibizione della Costituzione e della coccarda tricolore sulla toga nelle corti d'Appello allo sciopero del 27 febbraio, se le tengono prudentemente per sè. Al massimo non partecipano alle cerimonie per «motivi di famiglia» per evitare di dare nell'occhio. Nei giorni scorsi, pur condividendo nel merito la contrarietà alla riforma qualcuno si è azzardato a definire «una pagliacciata» la forma assunta dalla protesta nelle indicazioni dell'Anm. Ma ora parlano le urne.
L'incrocio tra elezioni di categoria e accelerazione dell'iter della riforma costituzionale ha contribuito molto a far alzare i toni dei magistrati. «In questo momento premia la radicalizzazione dello scontro con il governo, perché la categoria si sente sotto attacco, vedi Salvini sui provvedimenti per i migranti, non vuole che giudici e pm siano separati perché teme il controllo politico ed è davvero compatta contro le iniziative del governo», spiega una toga che vuole rimanere anonima.
Nel dibattito preelettorale e anche nell'ultima riunione del direttivo Anm chi più spingeva verso una protesta dai toni accesi e dalla liturgia pesante verso il governo era Magistratura democratica e il cartello di sinistra di Area. Chi cercava forme più soft era la moderata Magistratura indipendente, mentre Unicost si barcamenava. Alla fine, solo 5 astenuti per proclamazione dello sciopero e decisione della contestazione dura per l'anno giudiziario. Le correnti sono rimaste unite, anche se ora fanno a gara per prevalere nelle elezioni.
Venerdì in Cassazione la prima presidente Margherita Cassano ha invitato al rispetto tra le istituzioni, ma ieri a Napoli i magistrati sono usciti dall'aula quando il Guardasigilli Carlo Nordio ha iniziato a parlare. Un po' troppo? «Diciamo che i magistrati - spiega il costituzionalista Alfonso Celotto - hanno scelto una forma vistosa di protesta, per esprimere il loro dissenso, si sono avvicinati al limite ma non l'hanno superato. L'articolo 21 della Costituzione tutela il diritto di tutti di manifestare il proprio pensiero. C'è anche l'articolo 54, secondo il quale chi riveste determinati ruoli e funzioni pubbliche deve farlo con dignità e onore, nel rispetto quindi del buoncostume e della sicurezza. Insomma, se i magistrati fossero andati in bermuda o nudi o avessero tentato di bruciare i tribunali il limite l'avrebbero certo superato. Ma è anche importante che alla contestazione si accompagni il dialogo e la protesta sia sempre costruttiva.
Le riforme costituzionali devono essere più possibile condivise, come ci ha insegnato la Costituente dove c'erano Nenni, Togliatti, De Gasperi, insomma Peppone e don Camillo, ma sulla Carta si ottenne l'88 per cento dei consensi».
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