Il dolore di Israele per i caduti in Libano. E Bibi spinge sulla "vittoria per la pace"

Solo nell'ultima settimana 26 vittime. E già nel 2000 il movimento delle Quattro Madri mise fine alla guerra

Il dolore di Israele per i caduti in Libano. E Bibi spinge sulla "vittoria per la pace"
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Il verde cimitero del Monte Herzl, dove sul fianco delle colline di Gerusalemme, sono sepolti tutti i primi ministri a fianco di un numero esorbitante di soldati caduti dalla Guerra d'Indipendenza del 1948 e poi via via fino a oggi, è movimentato a ogni ora. Vanno e vengono folle di giovani e vecchi, in divisa e in jeans, seguono le bare coperte con la bandiera trasportate verso la fila delle rispettive brigate sulle spalle di soldati che nascondono le lacrime sotto il portamento militare. Ci sono sempre tanti bambini nella folla, nipoti, figli, fratellini: la settimana scorsa 26 soldati sono stati uccisi, avevano dai 18 ai 55 anni, di leva o riservisti. I padri lasciano 56 orfani. Israele ogni giorno ascolta presto alla radio la lista dei caduti e scoppia in lacrime o si riassetta per un'altra giornata di guerra.

È una roulette russa in cui prima o poi perdi, Israele conta poco più di 9 milioni di abitanti, dal 7 ottobre 14mila feriti e più di 1.800 uccisi fra i soldati. Ieri anche alla mia famiglia è toccato un doppio lutto, è stato ucciso il 30enne Gilad Eliamaliach, guardiano della scuola del mio figlio piccolo, che lascia 5 bambini. È stato ucciso in azione con Avraham Yosef Goldberg, Avi per noi, maestro di Tanach di mio figlio: lascia dietro di sé una famiglia che era un centro di cultura ebraica e di musica, in cui con la moglie Rachel, violinista e infermiera, suonava il clarinetto. Aveva otto figli, il maggiore nel servizio militare. Dal 7 ottobre è andato a combattere in Libano lasciando la casa di Gerusalemme e la scuola dove insegnava. Amava i soldati di cui era comandante e rabbino, la sua brigata Alon. E anche tutti i ragazzi per cui era un insegnate unico ma aveva deciso di combattere per la sopravvivenza del popolo ebraico e così ha fatto per 260 giorni. Un suo messaggio a noi che ci preoccupavamo diceva: «Sono solo una piccola parte della mia unità, ma ne sono felice perché spero che questa volta la nostra vittoria porterà la pace per molto tempo. Ho scritto sui muri del Libano: Noi volevamo la pace, voi avete scelto la guerra».

Tutta Israele è toccata dalla scomparsa dei suoi cari o amici, la loro assenza si somma a quella dei rapiti, e questo suscita discussione. È la matrice psicologica anche se non ancora politica del pacifismo che Israele nei decenni ha vissuto come una componente nella definizione della sua vita. Cedere invece di morire è una grande tentazione, anche se la storia ebraica insegna che funziona al contrario. Nel 2000 la ritirata dal Libano, che disgraziatamente consentì agli Hezbollah di nidificare coperti dall'Iran, nacque dal famoso movimento delle Quattro Madri che si basava proprio sull'angoscia creata dalla perdita delle vite dei figli e che ebbe un apice nel disastro di un elicottero nel 1997. Dopo che il movimento aveva messo sottosopra Israele con una strategia di grandi dimostrazioni, Ehud Barak ordinò il ritiro. Allora funzionò e anche con Sharon quando decise il distacco da Gaza: ma oggi solo il 6% pensa che la guerra debba essere fermata per il grande costo in vite umane. Netanyahu ieri nel suo discorso alla Knesset ha spiegato due temi molti legati: quello dei soldati di leva e delle riserve che combattono da un anno ormai la «guerra di rinascita»; e quello della strategia di puntare a ristabilire la deterrenza perduta puntando alla pace con la vittoria esemplificata dall'eliminazione di Nasrallah e Sinwar. È una chiamata alla salvezza di Israele che convince la maggior parte della gente, anche quella che non può soffrire Netnayahu.

Sembra che dopo il 7 ottobre sia ormai parte della psicologia di Israele un motto: «primum vivere», e non contenendo il pericolo ma eliminandolo. Per questo Netanyahu ieri è tornato sul tema del pericolo atomico iraniano. Rischioso, ma necessario. Costa molto, ma vale la pena.

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