
Dal nostro inviato a Padova
A una settimana dal congresso di Firenze, ieri Matteo Salvini ha dovuto farsi un giro nella tana infuocata del leghismo veneto. E alla fine ha portato a casa la pelle; la sua e forse anche quella del leone di San Marco che nella storica Fiera di Padova lo ha accolto benevolo con il libro aperto e il Pax tibi Marce, evangelista meus di quando la Serenissima andava in pace, ma sempre pronta a richiuderlo appena c'era da far guerra. Per evitarla, il segretario sfodera un appello all'autonomia dei padri fondatori e all'unità «se vogliamo proseguire tutti insieme», l'invito all'Italia a trattare direttamente con Trump sui dazi e soprattutto un durissimo attacco all'Europa su armi e truppe che è anche un modo per distinguersi dalla linea del governo Meloni. Perché, come ha spiegato il professor Alessandro Amadori, «la prima regola del marketing è distinguersi per non estinguersi». E di questo Matteo Salvini ha da sempre fatto una professione, più per istinto che per studi accademici.
Così è stato anche nell'appuntamento precongressuale dedicato all'autonomia nel grande ventre del leghismo veneto del doge Luca Zaia e dell'astro nascente Alberto Stefani. Quelle di Salvini a Meloni sono parole al miele per un governo che «arriverà fino al 2027 e con Conte e Schlein al 2057», ma le questioni messe sul tavolo hanno più di una spina. A cominciare dalle richieste di «un federalismo fiscale che non ha più ragione di incontrare ostacoli», come arringa il governatore lombardo Attilio Fontana facendo schizzare l'applausometro. E Salvini pronto ad assicurare che all'autonomia andrà affiancato un premierato che renda il governo più forte «e la riforma della giustizia di un ministro veneto come Carlo Nordio».
Durissime, invece, le parole dedicate alla presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen, «una tedesca che serve agli interessi dei tedeschi: ci dicevano che non si poteva far debito e se adesso improvvisamente per mano tedesca scopriamo che si possono fare 800 miliardi di euro di debito, sicuramente non lo faccio per andare a comprare armi in Germania». Alzando ancor più il tiro: «Quando la Germania si arma non è mai una buona notizia e guarda caso, alcune aziende automobilistiche tedesche si stanno trasformando in aziende belliche. E se Von der Leyen fa l'interesse dei tedeschi, la Lega e il governo italiano faranno quello degli italiani». Spigoloso anche il capitolo dazi, con la richiesta di «trattare direttamente senza passare da Von der Leyen e Macron» e l'impegno che certo non piacerà a Meloni e Tajani di incontrare al più presto Vance, il vice presidente Usa che «ho invitato all'Olimpiade Milano-Cortina». Un attivismo diplomatico riassunto nella dottrina salviniana «federalismo in Italia e sovranismo in Europa». Sul palco Zaia, insieme al ministro Roberto Calderoli («questo Paese è inefficiente non per colpa di tutti, ma per colpa dello Stato»), ribadisce che «esiste una questione del Sud, ma prima va risolta quella del Nord: perché l'autonomia è la via maestra per abbattere le diversità. E o la si fa per scelta o la si dovrà fare per necessità». Fontana picchia sul peso del residuo fiscale per le regioni più virtuose in un appello ai «fratelli sul libero suolo» e Massimiliano Fedriga assicura che «federalismo significa solo che ai cittadini i servizi li dà chi lo fa meglio e costa meno».
Convitato di pietra Roberto Vannacci che in Veneto poco digeriscono. «Non mi risulta abbia la tessera della Lega», taglia corto Zaia a chi gli chiede se sabato gli sarà assegnato un ruolo importante.
Mentre l'apertura alle «energie migliori» raccomandata da Salvini, lascia presagire l'arruolamento del generale nella Lega pacifista perché «l'emergenza non sono i carri armati a Est, ma l'immigrazione clandestina da Sud».
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