Migranti e terrorismo: l'Ue esulta per la Siria ma è nel mirino

Ottimismo azzardato. L'Europa rischia di pagare un prezzo alto. Lo spettro di un accordo Mosca-Ankara sulla pelle dell'Ucraina

Migranti e terrorismo: l'Ue esulta per la Siria ma è nel mirino
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Quando nell'ottobre 2011 Muhammar Gheddafi morì linciato dai ribelli il segretario di Stato Usa Hillary Clinton commentò l'eliminazione con un caustico «we came, we saw, he died» riproposizione del più celebre «veni vidi vici» di Giulio Cersare. Un'uscita rivelatasi improvvida e avventata. L'11 settembre dell'anno successivo un commando jihadista trucidò l'ambasciatore americano in trasferta a Bengasi e due uomini della scorta.

Ora a far concorrenza alla Clinton arriva l'ex premier estone Kaja Kallas pronta, al primo appuntamento da Commissario della politica estera Ue, a definire la caduta di Bashar «uno sviluppo positivo e atteso da tempo». Un ottimismo a dir poco azzardato. Per capire quanto sia rischioso puntare sulla «nuova» Siria non serve la palla di vetro. A un commissario europeo dovrebbero bastare le previsioni di Samer Abdel Jaber, il responsabile emergenze del World Food Program che da Ginevra prevede l'esodo di 1,5 milioni di sfollati da un Paese scosso da violenze e vendette. Un esodo che come già nel 2015 punterebbe inevitabilmente verso l'Italia e l'Europa. Traghettando nelle nostre città non solo migranti, ma anche rodati terroristi. Timori resi più concreti dalla presenza alla testa della «nuova» Siria di quel Zelig della lotta armata conosciuto con il soprannome di Abu Muhammad Al Jolani. Un leader che prima di entrare a Damasco alla testa di Hayat Tahrir al Sham (Hts) si destreggiava tra Isis e Al Qaida mentre ora sfrutta le telecamere della Cnn per promettere sincera adesione ai valori occidentali.

Fuori dalla Ue il primo a non fidarsi di lui e dei suoi combattenti è Recep Tayyp Erdogan, ovvero il suo principale padrino. Seppur pronto ad armarlo e finanziarlo per scalzare Bashar Assad, Erdogan è ben consapevole che Jolani sarà il primo a rifiutare i diktat turchi. Soprattutto quelli sulla creazione di una zona cuscinetto profonda dai 15 ai 20 chilometri lungo la frontiera controllata dai curdi. E infatti Erdogan è già pronto a contrapporgli l'Esercito nazionale siriano, formazione creata dai servizi segreti di Ankara mettendo insieme gruppuscoli jihadisti ed ex militanti dell'Isis. Le mire di Ankara e la propensione di Jolani all'effettivo controllo sul Paese sarà dunque il primo elemento d'instabilità. Ma Jolani dovrà anche vedersela con quelle fazioni ribelli del Sud entrate a Damasco già sabato che furono le prime ad accendere la rivolta del marzo 2011 nelle strade di Darra. A suggerire ulteriore cautela s'aggiungono le oscure trattative turco-russe concluse venerdì con il brusco benservito di Mosca all'alleato siriano. Il benservito politico militare ad Assad - accolto poi a Mosca con tutta la famiglia - non è stato accompagnato infatti dal ritiro dalle base navale di Tartus e da quella aerea di Hmeimim rimaste, per ora, sotto il controllo di Mosca. Un particolare che dovrebbe almeno insospettire l'Europa. Nonostante l'apparente rivalità Erdogan e Vladimir Putin hanno più volte dimostrato di saper giocare sulla pelle di nemici e alleati per garantirsi reciproci vantaggi. Dietro le quinte del benservito all'alleato siriano molti intravvedono un accordo sulla pelle dell'Ucraina. Non a caso fu proprio la Turchia, nel marzo 2022, a condurre l'intesa, poi abortita, per un cessate il fuoco basato, come ancora chiede Mosca, sull'impegno di Kiev a non entrare nella Nato e ad accettare una parziale demilitarizzazione.

Argomenti e circostanze che l'entusiasta Kallas non dovrebbe sottovalutare vista la sollecitudine con cui Donald Trump insiste sulla necessità di tener l'America lontana dai giochi siriani e di arrivare a un negoziato seguito da «un immediato cessate il fuoco» in Ucraina. Ad accrescere le incognite sul futuro siriano s'aggiungono le mosse israeliane. Dopo aver innescato la caduta di Assad colpendo i pasdaran in territorio siriano e ridimensionando Hezbollah il governo di Bibi Netanyahu ha mandato l'esercito nella zona demilitarizzata del Golan per bloccare i rischi d'infiltrazioni jihadiste. E ha ordinato raid aerei sui depositi di armamenti abbandonati dall'esercito siriano per evitarne la caduta in mani ostili.

A tutto ciò s'aggiungono i timori di una resurrezione dell'Isis pronto a riaccogliere tra le proprie fila migliaia di consumati tagliagole e delinquenti comuni liberati dalle carceri di Aleppo, Hama, Homs e Damasco. Tutti sviluppi già visti sullo scenario libico dove miliziani e delinquenti hanno trovato reciproca convenienza a gestire i traffici di uomini.

Traffici che anche in Siria potranno contare su un consistente mercato visto il numero di cristiani, minoranze alawite ed ex sostenitori del regime costretti ad abbandonare un Paese in cui il loro destino appare irrimediabilmente segnato.

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