"Il mio inizio con le ciabattine ai piedi. La mia mentore? La Sotis, è acciaio"

La Milanese e l'Agenda 2025: "Ispirata a un libro visto al Moma. Primo giorno al Corriere? Ansia e Pedro Garcia. Sono di Perugia, adoro Milano"

"Il mio inizio con le ciabattine ai piedi. La mia mentore? La Sotis, è acciaio"

Quando a Waterloo, il generale francese Cambronne, spazientito dalla supremazia degli inglesi, disse «merde!», pronunciò la parola con la sua stessa «erre» arrotata. E non è un caso perché, da parte di padre, è proprio da lì che discende. Poi il suo albero genealogico si è diramato tra mazziniani ai quali sono state intitolate vie ed emancipate, affascinantissime zie che lei osservava incantata mentre si truccavano, si vestivano per uscire e disquisivano, con una consapevolezza decisamente più illuminata rispetto ai tempi, degli argomenti più disparati. La casa della sua infanzia, a Perugia, è quella da cui ha imparato a guardare la vita da una prospettiva diversa. Poi è arrivata Milano, che è il luogo in Italia da cui devi partire se vuoi andare in altri posti. Tutto ciò l'ha resa una portatrice sana di leggerezza non leggera. E oggi Michela Proietti, classe 1975, è La Milanese. Perché così si intitola il suo libro, così si intitola la sua agenda giunta alla terza edizione (è appena uscita quella del 2025 per Solferino, 25 euro, rossa, dorata e très chic), così è irrimediabilmente lei: donna d'impegni, mocassini e cachemire cammello. Ordina un cappuccino con latte di soia e ne portano due identici (l'altro è il nostro). Se anche è contrariata, non si vede.

Ci voleva una perugina per fare La Milanese. E per vincere un Ambrogino...

«Dell'Ambrogino d'oro in effetti sono fierissima. E per quanto riguarda le milanesi... dall'esterno le si vede meglio. I milanesi non si rendono conto della fortuna che hanno a nascere qui. Hanno due aeroporti per andare ovunque anche in un week end, teatri, musei, cinema, le sfilate, il cinema al mattino... Comunque La Parigina Inès de la Fressange non è nata a Parigi e la signora dei salotti milanesi Lina Sotis, mia mentore (la adoro, è d'acciaio, quando lei parla la gente tace) con la quale tengo una rubrica sul Corriere della Sera, è romana».

Il «Corriere della Sera», per lei non è solo un giornale.

«Ci sono arrivata dopo la laurea in Scienze Politiche con uno stage dalla scuola di giornalismo. Mi ha aperto un mondo e mi ha dato un osservatorio privilegiato per raccontarlo. Ho capito che volevo fare la giornalista e che la volevo fare qui. Per me Milano è il Corriere».

Ricorda quando ci arrivò la prima volta?

«Ansia, gonna nera, camicia bianca feticcio e ciabattine di Pedro Garcia».

Come sta andando la sua agenda?

«Benissimo. Avrei voluto farla grigia, come Milano, poi ho cambiato idea. Mi hanno ispirata un libro che ho trovato al Moma di New York e un altro che ho visto a Parigi a Le Bon Marché, ripeteva ogni volta le cinque domande che dovremmo sempre porci. Work hard, play hard però poi non ci soffermiamo mai a riflettere sulle nostre vite. Spero che la mia agenda, nella quale ho rielaborato quesiti, ci spinga a farlo. C'è tanto lavoro dietro. Quello in cui mi aiuta da quattro anni la mia impagabile editor, Michela Gallio».

Tra le tante altre cose, lei è ormai «la donna delle agende». Ci faccia quella della sua vita. Gli anni fondamentali.

«Inizierei dal 1980. Ero all'asilo dalle suore e il mio bisnonno Bruno, all'ora della merenda, arrivava in bicicletta per portarmi una banana. È stata un'infanzia bella e densa. Quando andavamo nella casa in campagna della nonna, a Gubbio, ricordo che la prima cosa che mi diceva era togliti le scarpe. La libertà iniziava così. Raccoglievamo asparagi e funghi, cosa che faccio ancora. Poi c'erano i pomeriggi solitari tipici dei figli unici. Prendevo la macchina per scrivere del nonno e facevo il giornalino della scuola. Giochi da predestinata».

Michela Proietti

I figli unici sono bambini che alla fine si rassegnano a non esserlo.

«Mia madre, ancora oggi, mi chiede quando torno a casa, a vivere! Ma la adoro. Anche se la mia agenda vivente è mio padre. Se ho un segreto inconfessabile lo racconto a lui con la premessa complice non dirlo alla mamma».

Andiamo avanti con gli anni.

«Direi 1989. Il liceo. Qui a Milano scegli tra steineriano, canadese... A Perugia c'era il classico Annibale Mariotti che era poi quello che mi disse di fare mio padre e io lo feci. Fu splendido. Per i professori e per la grande bellezza sulla quale era affacciata l'istituto. Non te ne rendi conto subito, ma sono cose che si imprimono e ti formano».

Poi?

«Il 1994, l'Università. Perugia è sempre stata un po' chiusa e snob, ma quegli anni mi hanno dato tanto. Mi divertivo ma studiavo: la preparazione è sempre stata il mio ascensore sociale. Perché venivo da una famiglia agiata ma comunque di provincia».

Un'altra data fondante.

«Il 2002, il mio arrivo a Milano. Avevo 27 anni, un'esperienza come cronista alla Nazione e affittai un appartamento in cui dovetti convivere con un pitone lasciato dal padrone di casa. Alla scuola di giornalismo radiotelevisivo della Rai c'erano 25 posti ogni 2 anni. Quasi speravo non mi prendessero. Avrei fatto la ricercatrice in storia. Il caso avrebbe scelto per me. Il mio tratto è l'indecisione. Ma mi presero...».

L'indecisione? Non si direbbe. Cosa accade?

«Che nel 2004 mi assunsero al Corriere della Sera».

Poteva andare decisamente peggio...

«Mi ha cambiato la vita. Mi ha dato un'impronta, uno scopo, un mondo. E poi Lina (Sotis, ndr) che mi dice Tu sei me vent'anni dopo. Una soddisfazione incredibile».

A che anno saltiamo, a questo punto?

«Al 2012, l'anno in cui è nato mio figlio. L'ho chiamato Riccardo Maria perché non l'ho cercato e ancora di più lo considero un dono. Conobbi il suo papà al Nepentha, locale tipico di quegli anni. Ridiamo ancora oggi dell'incontro. Ma ci lasciammo dopo qualche anno. È uno splendido padre. In realtà Riccardo è il mio secondogenito, il primo è Opi, il mio bassotto».

Ovvio, una milanese senza bassotto... E arriviamo al 2020.

«Sì. E al libro La Milanese che avevo in mente da tanto e che alla fine ho scritto nella mansarda dei miei. È lì che ci siamo rifugiati Riccardo e io durante la pandemia. Mia mamma, ex insegnante, si è occupata della sua istruzione. Dai miei genitori è stato perfetto. Ci siamo ritrovati tutti, in quell'atmosfera, attorno a quella tavola, davanti a quel camino... A parlarci davvero».

Per lei la minaccia è stata piena di benevolenza.

«È stato il mio nuovo inizio».

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