Il "partito delle toghe" sola spina nel fianco di Giorgia. La sinistra al traino dei pm

Santanchè, Almasri, lista dei "Paesi sicuri": i fronti aperti dalle Procure contro il governo

Il "partito delle toghe" sola spina nel fianco di Giorgia. La sinistra al traino dei pm
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È una macedonia di fascicoli, di procedure, di autorità giudiziarie, in cui si mischia dentro di tutto: ma il risultato è quello di un governo chiamato a fare i conti, più che con l'opposizione parlamentare, con l'opposizione giudiziaria. Che, inevitabilmente, diventa a sua volta la bandiera sventolata dalla minoranza per cercare di mettere in crisi la stabilità del governo o almeno la sua credibilità: come accade anche ieri, quando sia il Pd che i 5 Stelle festeggiano un po' affrettatamente la notizia della apertura di un procedimento contro l'Italia da parte della Corte penale internazionale, ridimensionato poco dopo dalla stessa Corte.

Casi e giudici eterogenei condizionano l'agenda del governo su diversi versanti, senza bisogno di scomodare ipotesi di congiure transnazionali. Anche perché ogni grana ha origini e percorsi diversi. Il più datato, e per alcuni versi il più corposo, tra i fascicoli che agitano Palazzo Chigi è il fascicolo della Procura di Milano che vede imputata per truffa ai danni dello Stato il ministro del Turismo Daniela Santanchè, attesa per il 26 marzo dalla ripartenza dell'udienza preliminare. Qui le possibilità che il ministro venga rinviato a giudizio sono concrete, e con esse lo scenario di una modifica per cause giudiziarie della squadra di governo che ha giurato il 22 ottobre 2022. Il turnover al Turismo sarebbe una scelta praticamente obbligata che le opposizioni di preparano a festeggiare come una vittoria.

Ma nel caso Santanchè la politica governativa non c'entra, le accuse al ministro riguardano tutte la sua attività da imprenditore privato. Mentre, in un modo o nell'altro, tutte le offensive giudiziarie sul tavolo hanno per obiettivo uno degli assi portanti del programma governativo, l'inasprimento delle norme sulla immigrazione illegale. Uno dei nodi cui il governo guarda con maggiore preoccupazione è la decisione che la Corte di giustizia europea prenderà il prossimo 25 gennaio sui ricorsi presentati da diversi tribunali italiani, che contestano il diritto esclusivo del governo di stabilire quali sono i «paesi sicuri» dove i migranti illegali possono essere rispediti con procedura accelerata. Alla Corte i giudici italiani chiedono di stringere ancora di più le norme sui rimpatri, escludendo dall'elenco dei paesi sicuri anche quelli dove singole categorie di cittadini sono a rischio: e dove non potrebbero più venire rimandanti neanche clandestini che non fanno parte di tali categorie.

Sarebbe una conferma della linea segnata prima dal tribunale e poi della Corte d'appello di Roma annullando i trasferimenti in Albania di due gruppi di migranti provenienti da Egitto e Bangladesh, ma sarebbe soprattutto una sconfessione piena della linea del governo Meloni sul tema: destinata anch'essa a venire celebrata con enfasi dalle opposizioni. E lo stesso vale per eventuali sviluppi del procedimento trasmesso dal procuratore di Roma Francesco Lo Voi a carico del presidente del Consiglio e dei ministri Piantedosi e Nordio per il caso Almasri.

Dove sotto tiro insieme al presunto trattamento di riguardo riservato al generale libico c'è un altro asse portante della politica governativa in tema di immigrazione, cioè il rapporto con i paesi di origine e di transito. È questa, in assenza di meglio, la nuova versione della «questione morale» trasformata in strumento di lotta politica.

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