«Il campo largo non si fa con una foto». Uno strano virus sta colpendo la sinistra: la voglia matta di Democrazia cristiana. Forse nel disperato tentativo di cambiare una rotta perdente o solo alla ricerca di qualche contenuto, seppur antico, per riempire l'attuale vuoto pneumatico di Schlein e compagni. E così ecco il minuetto del sindaco di Milano Giuseppe Sala, danza originaria della Francia il cui nome deriva da pas menu, il piccolo passo. Nel suo caso uno avanti e un paio indietro, come da galateo della politica assimilato frequentando i Palazzi. Ma di certo e molto rilevante al momento c'è la sontuosa intervista concessa ieri a Repubblica che, in una riscoperta comunione di amorosi sensi, gli ha dedicato in prima pagina un titolo che potrebbe essere eloquente («Costruiamo il centro per vincere»). Non fosse che a leggerla, i passi indietro sono più di quelli innanzi. Perché, assicura, «non mi sogno nemmeno di sottrarre tempo a Milano per occuparmi operativamente di tutto ciò». E poi «la questione non è trovare il federatore, la questione è trovare i compagni di viaggio». Mica un legittimo impedimento da poco.
Detto questo, è chiaro che l'uscita dell'ex mister Expo cala sulla politica come la notizia del mese, se non di più. Il pacco di Natale (e ognuno la legga come vuole), perché secondo la nota legge della fisica, lì dove c'è un vuoto, qualcosa arriva a colmarlo. E quello di cui Sala parla da tempo, è un centro che ha bisogno di un nuovo interprete dopo il fallimento di Carlo Calenda («ci ha messo energia e i fondi che è riuscito a raccogliere») e del non citato Matteo Renzi. Che, forse indispettito proprio dal non essere stato nominato, è il primo a sparargli contro a palle incatenate. «Se Sala vuole dare una mano a quest'area - ha sibilato velenoso a Skytg24 - è il benvenuto, ma deve dare un contributo sui temi, come il dossier sulla sicurezza. Vedo tanto fumo e chiacchiere». Difficile non notare che di questi tempi a Milano proprio la sicurezza (che non c'è) è ben più che un tallone d'Achille per un sindaco che troppo a lungo ha lisciato il pelo a politici di sinistra e non certo di centro che sostenevano come gli allarmi fossero solo strumentalizzazioni di una destra cattiva e irrimediabilmente xenofoba.
Un giudizio, quello di Renzi sul fumo, che potrebbe anche centrare il dipanarsi un po' fuffoso dell'intervista, non certo il fatto che la corsa al centro ora diventi e non solo per la sinistra, uno dei temi più rilevanti dell'agenda politica. E non è un caso che gli accorti e abili consiglieri politici, abbiano suggerito a Sala di uscire con tanta forza in edicola proprio quando è in gran voga il nome del direttore dell'agenzia delle entrate Ernesto Ruffini, considerato un possibile federatore.
Quanto a Sala, impossibile non ricordare i prestigiosi galloni di direttore generale nel Comune di centrodestra di Letizia Moratti, la svolta green nel 2021 («Vado con i Verdi europei»), le concessioni agli ambientalisti e agli ambientalismi che hanno fatto naufragare tutte i progetti di stadio a Milano, gli ammiccamenti alle tavolate per migliaia di extracomunitari a Parco Sempione e la connivenza con il centro sociale Leoncavallo occupato.
Se questo sia il curriculum giusto per guidare la nuova «area liberal-democratica» sentenza da lasciare ai politologi. Anche se la domanda è quella che Stalin fece a Jalta a chi gli ricordava le esigenze di Papa Pio XII sul nuovo assetto del mondo. «Ma lui, quante divisioni ha?».
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