Lo Zar spalle al muro ora fa più paura. Ma cedere al ricatto sarebbe un autogol

Alzare il livello della minaccia è l'ultima arma di Putin. Assecondarlo una debolezza. Come con Hitler nel 1938

Lo Zar spalle al muro ora fa più paura. Ma cedere al ricatto sarebbe un autogol
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Tre giorni dopo il minaccioso annuncio (in realtà la ratifica di un altro vecchio di mesi) di una nuova «dottrina militare» che faciliterà l'impiego di armi atomiche, ecco il lancio sulla sciagurata città ucraina di Dnipro di un nuovo missile balistico russo «non intercettabile» in grado di portare, se solo lo Zar lo ordinasse, anche testate nucleari. Vladimir Putin alza sempre di più l'asticella del suo ricatto all'Occidente e ieri l'eterno portavoce Dmitry Peskov ha parlato chiaro: a Washington hanno certamente capito il nostro messaggio.

Non che ci volesse molto. Il messaggio è nitido e rozzo: ci stiamo avvicinando alla messa in pratica delle nostre minacce. A forza di tracciare linee rosse che vengono impunemente varcate dagli alleati dell'Ucraina, a Putin non rimane granché da rilanciare per ristabilire, come usa dire, la deterrenza. E d'altra parte, siccome dalla guerra non può tornare indietro senza una vittoria pena il tracollo del regime, dovrà andare fino in fondo. Ecco perché, stavolta, il dittatore del Cremlino va preso più sul serio. Putin non va temuto per la sua forza, ma perché è sempre più debole. Legato mani e piedi com'è ad alleati interessati e assai più potenti (la Cina), preziosi per le forniture militari che assicurano e per il ruolo con essi condiviso in Medio Oriente (l'Iran), indispensabili come il cinico dispensatore di munizioni e carne da cannone nordcoreane Kim Jong-un, che si fa strapagare con know-how nucleare russo e molto altro.

Stavolta, lo Zar con le spalle al muro potrebbe decidere di giocare molto sporco e molto pesante. Potrebbe ordinare davvero una provocazione nucleare, in Ucraina o chissà dove, visto che da ieri (parole sue) il conflitto è diventato globale, naturalmente per responsabilità degli alleati di Kiev e non per le sue alleanze di lunga data con le tre potenze sopra ricordate. Putin scommetterebbe sull'indisponibilità degli europei, ma anche degli americani, a farsi coinvolgere in un conflitto nucleare. E riterrebbe non solo di passarla liscia, ma di riuscire così a forzare il presidente rientrante americano Donald Trump a mantenere la promessa fatta ai suoi elettori: riuscire a «pacificare» l'Ucraina, magari gloriandosi di aver evitato, lui da solo, nientemeno che la terza guerra mondiale.

Anche se non si arrivasse a tanto, è inutile illudersi. Putin non vuole la pace, ma la fine dell'Ucraina libera. Ha trasformato quella russa in un'economia di guerra, con ormai il 30% delle risorse nazionali investito in armamenti e contorno. Questa economia comincia a scricchiolare (sono stati ridotti perfino gli indennizzi alle centinaia di migliaia di soldati feriti), ma cambiare direzione non si può più, i ponti alle spalle sono bruciati. È perfino a rischio la poltrona della governatrice della Banca centrale russa Elvira Nabiullina, ultimo argine a una deriva di spese folli fuori controllo. Non rimane che evitare la sconfitta, a qualsiasi costo.

Non ci sarà dunque nessuna pace se non alle condizioni da ukaze di Putin. E se davvero Trump venderà la pelle degli ucraini, dovremo pensare alla nostra, anche senza di lui.

Soluzioni ottimali in questa brutta situazione non ce ne sono, si danno solo mali minori. E il male minore non sarà cedere a Putin per paura: in cambio di una falsa pace l'Europa libera ha già sbagliato a Monaco nel 1938 tradendo la Cecoslovacchia, poi è arrivato il conto più salato del ventesimo secolo.

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