Il "codice Nero" e la guerra di ombre del generale Amé: così beffò gli Alleati

Il generale Amé e la grande impresa del SIM, il servizio informazioni militari della seconda guerra mondiale che riuscì a scoprire i messaggi segreti degli Alleati

Il "codice Nero" e la guerra di ombre del generale Amé: così beffò gli Alleati

Ci sono uomini che ricevono un eguale parte di coraggio e intelligenza. Il generale Cesare Amé, il coraggio lo aveva mostrato servendo in Libia e nella Grande guerra, durante la quale si era guadagnato i gradi e tre medaglie al Valor militare, a Caporetto e sul Piave. Ma fu soprattutto la sua intelligenza, e la spiccata capacità di guardare alla complessità degli scenari senza lasciarsi condizionare dal fardello ideologico, a farlo saltare agli occhi del colonnello Attilio Vigevano, capo del neonato servizio segreto italiano, il Servizio Informazioni Militari, noto più semplicemente come SIM. Creato nel 1925.

Fu lui ad affidargli la prima missione da “spia”, inviandolo nel Nord Africa francese per osservare attentamente la situazione e stilare un rapporto sulla regione; immaginando che un ufficiale come lui, un piemontese che era venuto dalla “gavetta”, fosse portato per il servizio segreto, più raccomandati che fin troppo spesso finivano per occupare i vertici e le scrivanie senza fornire il necessario apporto all’attività d’intelligence. Una missione che Amé non solo avrebbe onorato, ma anche superato, strutturando in chiave “moderna” lo spionaggio italiano quando gli venne assegnato il comando.

A capo del servizio segreto

Quando Amé assume la direzione del SIM nel settembre del 1940, l’Italia era entrata nel conflitto da soli tre mesi, e le informazioni raccolte in Francia e Inghilterra, prestando particolare attenzione allo scacchiere del Mediterraneo e a quello dell’Africa settentrionale, frutto degli sforzi condivisi da tre servizi informazioni, il Servizio Informazioni Segrete della Regia Marina, il Servizio Informazioni Aeronautica, e il SIM, dovevano essere immeditamente sfruttate a fini strategici e non più come analisi di scenari futuri.

La mancanza di coordinamento tra i diversi servizi era evidente e aveva sempre compromesso l’efficacia del servizio segreto, rischiando di mettere a repentaglio intere operazioni. Fu necessario trovare una soluzione per ovviare al problema. Amé sottolineava come spesso gli "agenti di un servizio" venissero segnalati dall’altro come sospetti e come organi dell’uno arrestassero agenti dell’altro, interferendo in azioni importanti e delicate. La situazione era ulteriormente complicata dalla presenza dell’OVRA, la polizia politica di Mussolini che, con il passare del tempo e l’acuirsi della guerra di spie che si combatteva in Italia, finì per interessarsi anche delle attività militari.

Secondo il generale Amé, che per tutta la durata del conflitto mantenne il nome di codice di “Armando”, la prima cosa da fare per evitare interferenze e contrasti nel sistema di spionaggio e controspionaggio italiano era quella di rendere il SIM l’organo “centrale e direttivo del settore", al fine di mantenere la “direzione tecnica di tutti gli organi informativi militari in zona d’operazioni, nella zona territoriale e all’estero”. La seconda era rafforzare la rete di spie all’estero per colmare ogni vuoto, nei Balcani come nel Mediterraneo, dove gli inglesi controllavano lo stretto di Gibilterra e l’isola fortezza di Malta, sfruttando ogni pedina dalle Alpi svizzere a Shanghai.

Il "Codice nero" e successi del SIM

Gli agenti di Amé, che si muovevano nell'ombra tra le ambasciate e i vicoli di Roma, passando le linee nemiche in Nord Africa, con la stessa semplicità con cui muovevano nella Svizzera neutrale, furono premiati dalla lungimiranza, come valse per la raccolta di e diffusione di false informazioni nei Balcani, come il "falso messaggio" firmato dal generale Dusan Simovis che inviato da Forte Braschi; a volte dalla semplice fortuna, come nel caso della spia italiana che dopo essere riuscita a infiltrarsi negli ambienti britannici a Shanghai, riuscì a scoprire i dettagli di operazioni che i greci volevano lanciare contro le forze italiane (senza essere per altro considerate, erroneamente, dai vertici militari, ndr). Portando a termine operazioni importanti come la sottrazione del cosiddetto “Codice nero”. Una risorsa fondamentale per conoscere le mosse del nemico.

Quella messa a segno dalla Sezione P, o Sezione Prelevamento, agli ordini del tenente colonnello Manfredi Talamo, è forse una delle imprese più importanti del SIM: l'organizzazione riuscì a infiltrarsi nell’Ambasciata americana di Roma e a impossessarsi delle tabelle cifranti e decifranti degli addetti militari statunitensi. Ciò permise di decifrare i messaggi che contenevano importanti informazioni sul fronte del Nord Africa, permettendo al feldmaresciallo Erwin Rommel di imporsi sull’8ª Armata britannica con una serie di schiaccianti vittorie che gli permisero di avanzare fino ad El Alamein. Gli Alleati si accorsero del problema solo nel luglio 1942.

Quella stessa estate, l’agente Talamo scoprì che l’addetto culturale tedesco presso l’Ambasciata a Roma era in realtà un doppiogiochista. La scoperta e l’efficienza del SIM a dispetto di quella tedesca non piacque al colonnello Herbert Kappler, il capo dell’SD e della Gestapo a Roma, che il 24 marzo 1944 inserì personalmente il nome di Manfredi Talamo nella lista degli uomini che sarebbero stati fucilati alle Fosse Ardeatine.

Un destino analogo a quello che la Terza Sezione, guidata personalmente dal Generale Amé, riservò a Fortunato Picchi che era stato reclutato dal SOE, catturato con un commando inglese che tentò di sabotare l'acquedotto pugliese nel 1942, e ad Emilio Zappalа e Antonio Gallo, altri due italiani addestrati dal SOE, che vennero catturati nei pressi di Catania dopo essere stati rilasciati da un sommergibile britannico per studiare le fortificazioni costiere.

"Soffrire e gioire in silenzio"

Come riporta il titolo del libro dedicato alla storia dei Servizi segreti italiani da A.Vento, gli agenti di Amé "gioirono e soffrirono" in silenzio. Un esempio furono i tre agenti che operavano dietro le linee nemiche in Siria e che vennero catturati e torturati senza rivelare alcuna informazione prima di essere fucilati.

Dopo la caduta di Mussolini, il generale Amé incontrò a Venezia l’ammiraglio Wilhelm Canaris, vertice dell’Abwehr, il servizio segreto militare tedesco, e sostenne la ferma intenzione dell'Italia di non voler "trattare separatamente un’uscita dal conflitto con gli anglo-americani". Ciò potrebbe aver contribuito alla sua estromissione dalle delicate quanto complesse trattative che gli Alleati condussero nel settembre del 1943, quando fu firmato l’Armistizio di Cassibile. Ratificato alla presenza del generale Giuseppe Castellano.

Il Servizio Informazione Militari venne letteralmente "tagliato fuori dal gioco", e la confusione che seguì venne consegnata alla storia delle versioni di diversi agenti segreti stranieri che descrissero il SIM del dopo-armistizio come un'entità inaffidabile, spaccata tra la fedeltà al Re e ai tedeschi, dove si moltiplicavano i doppiogiochisti e i triplogiochisti.

In questo intrigo fatto di segreti e sabotaggi, di ambasciate straniere e deserti, di radio clandestine e codici cifrati, i nostri servizi segreti si formarono e impararono a combattere nell'ombra. Confermandosi nella Guerra fredda come un efficace apparato di sicurezza per lo Stato.

Le spie di Amé assistettero impotenti alla sconfitta dell’Italia e alla lotta la divise tra il 1943 e il 1945. Alcune vennero fucilate. Altre vennero imprigionate. Tuttavia, furono proprio loro a gettare le basi dell'intelligence moderna, che ancora oggi onora la tradizione dell'intelligence italiana.

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