Claudio Bertolotti: “Perché i terroristi puntano alla gola”. Il rituale dietro l’orrore

Intervista a Claudio Bertolotti, esperto di terrorismo e direttore di Start Insight

Claudio Bertolotti: “Perché i terroristi puntano alla gola”. Il rituale dietro l’orrore
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Il terrorismo islamico ha colpito nuovamente il Vecchio continente. L’attentatore, un siriano di 26 anni arrivato in Germania nel 2022 come rifugiato, ha detto di aver agito come “vendetta per i musulmani in Palestina e ovunque”, applicando quanto chiesto da Hamas. Ne abbiamo parlato con Claudio Bertolotti, esperto di terrorismo e direttore di Start Insight.

Un altro attacco con il coltello. L’ennesimo…

Le statistiche dimostrano che l’utilizzo delle armi da taglio è ormai quasi esclusivo da parte dei terroristi. Dalle azioni strutturate del 2015 e del 2016, quando lo Stato islamico si è manifestato nella sua forma più violenta con commando suicidi ed esplosivi, si è passati a un terrorismo individuale e improvvisato che, non avendo una catena logistica di supporto, utilizza ciò che ha a disposizione. Il coltello è diventato, anche nella narrazione del terrorismo jihadista, l’arma per eccellenza. Nel caso di Solingen, poi, due delle tre vittime sono state colpite al collo. Si tratta di un atto rituale: è un atto che indica la vittima sacrificale nel nome di Allah.

Forse ci siamo dimenticati un po’ troppo in fretta dello Stato islamico…

Da quando lo Stato islamico è stato militarmente sconfitto, si è trasformato creando nuove realtà parastatali in Africa subsahariana e in Afghanistan che contribuiscono a destabilizzare le aree in cui operano e a stimolare nuovi attacchi. Più della metà degli attentatori in Europa ha rivendicato l'appartenenza all’Isis, in particolare alla sua sezione afghana, il cosiddetto isis Khorasan, che sta dimostrando di saper gestire mediaticamente le azioni terroristiche a livello globale.

L’Afghanistan, dopo il ritiro occidentale del 2021, è tornato il santuario del jihad?

Attualmente è una polveriera peggiore di come l’abbiamo conosciuta negli anni Novanta. C’è Al Qaeda che, con Haqqani, è legato ai talebani e, non a caso, Al Zawahiri è stato ucciso a Kabul. I talebani si sono trasformati in una forza di governo che si sta trovando a gestire un nemico, l’Isis-K, che usa le sue stesse tecniche. Questa fazione, inoltre, ha cambiato narrazione nei confronti dei talebani accusandoli di essere dei traditori perché non hanno portato avanti il jihad globale. L’Isis-K è quindi entrato in collisione con i talebani, mettendoli in difficoltà anche perché non sanno amministrare il Paese, e prendendo il controllo di Jalalabad dove le aree estrattive del talco, che arriva in Europa attraverso il Pakistan, garantiscono un'entrata importante. Con questi soldi l’Isis-K finanzia anche attività all’estero.

C’è poi il fronte di Gaza…

Hamas lo ha detto esplicitamente: “Colpite tutti gli alleati di Israele”. In pratica ha usato una narrazione identica a quella di Al Baghdadi tra il 2014 e il 2015.

Nel frattempo, oltre alla Germania, è stata colpita anche la Francia…

L’attacco contro la sinagoga ci conferma la crescente ondata di antisemitismo in Europa e che Germania e Francia sono i due Paesi europei a esser più colpiti, insieme al Belgio e al Regno Unito. Ma non solo. L’antisemitismo in Francia si sta manifestando in maniera progressivamente sempre più violenta, in particolare dopo il massacro del 7 ottobre e dell’appello di Hamas a colpire gli israeliani e i loro alleati.

Anche in questo caso, un attacco realizzato con oggetti di fortuna…

Non è stato un congegno esplosivo, ma solo un liquido incendiario. È un’ondata jihadista che certifica un processo di radicalizzazione estremamente violento, caratterizzato da fatti che accadono fuori dall’Unione europea ma che toccano il Vecchio continente.

Negli ultimi giorni, in Italia, è stata pubblicata una “lista di proscrizione”, scritta dal Nuovo partito comunista italiano, contro i giornalisti “sionisti”. C’è una saldatura tra estrema sinistra e terrorismo islamico?

Sì, ed è una grande preoccupazione. Se non c’è magari un legame da un punto di vista operativo certamente ce n’è uno da un punto di vista politico e ideologico.

Quello che mi preoccupa, e in questo la narrazone della sinistra sta facendo, è di confondere l’istanza palestinese con le azioni di Hamas, che viene visto solamente come un movimento di resistenza mentre invece è un movimento terroristico.

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