Che papa Francesco abbia deciso di aprire gli «archivi segreti» di Pio XII è una buona notizia. Perché un popolo che non conosca la sua storia non conosce se stesso, e perché è un passaggio significativo da parte della Chiesa e del Vaticano. Per la verità credo che Francesco, dopo avere dichiarato «la Chiesa non ha paura della storia», abbia qualcosa da confidare al suo confessore, trattandosi di una dichiarazione quanto meno azzardata: se è vero che, a partire da Giovanni Paolo II, molti passi avanti sono stati fatti nell'ammissione di errori e colpe, è tanto più vero che requisito fondamentale dell'«amore per la storia» è l'obiettività, difficile da rispettare per un'istituzione religiosa.
Dall'apertura degli archivi di Pio XII, per esempio, ci si aspetta soprattutto chiarezza sul suo ruolo nella - mancata o insufficiente - difesa degli ebrei dal nazismo. Papa Pacelli ebbe allora, ha dichiarato Francesco, atteggiamenti «di umana e cristiana prudenza, che a taluni poterono apparire reticenza e che invece furono tentativi, umanamente anche molto combattuti, per tenere accesa, nei periodi di più fitto buio e di crudeltà, la fiammella delle iniziative umanitarie, della nascosta ma attiva diplomazia, della speranza in possibili buone aperture dei cuori». Sì, ma non si tratta solo di questo: ci sono da approfondire i rapporti della Chiesa, del Vaticano e di Pio XII con l'universo dei fascismi internazionali, spesso fatti più di adesione partecipata che di «cristiana prudenza».
Pochissimo dopo la sua ascesa al soglio pontificio, Pio XII, in un radiomessaggio si congratulava con la Spagna di Franco per la vittoria della «Nazione eletta da Dio come principale strumento di evangelizzazione del Nuovo Mondo e come baluardo inespugnabile della fede cattolica». Le aggressioni dell'Italia fascista all'Albania, e della Germania nazista ai paesi confinanti a est, ebbero solo condanne generiche. C'era una sproporzione immensa fra la gravità eccezionale dell'ora, e ben altra avrebbe dovuto essere l'attitudine del supremo magistero cattolico, che era andato troppo innanzi nelle sue intese concordatarie anche con governi palesemente e sfrontatamente pagani.
Per tutta la durata del conflitto il mondo avrebbe assistito a una calcolata misurazione di parole e di atti da parte del papato. Ne è un esempio perfetto il discorso rivolto da Pio XII ai polacchi residenti a Roma, il 30 settembre 1939, neanche un mese dopo l'invasione di Hitler: «Noi non vi diciamo: asciugate le vostre lagrime! () E non vi è d'altra parte in ognuno di voi un po' dell'anima del vostro immortale Chopin, la cui musica ha compiuto il prodigio di trarre una gioia profonda e perenne dalle nostre povere lagrime umane? Se l'arte di un uomo ha potuto arrivare a tanto, dove non arriveranno, nell'arte di lenire i dolori nostri intimi, la saggezza e la bontà di Dio?».
In effetti la Chiesa avrebbe cercato, nei confini delle sue possibilità, di lenire le sofferenze dell'umanità, di fare opera di assistenza caritatevole dovunque, però mancò alla sua missione inconfondibile di magistero e di illuminazione. Il 4 settembre 1940 Pio XII disse agli italiani che occorreva essere buoni cittadini e battersi per la vittoria della patria. E del resto anche il suo futuro successore, Giovanni XXIII, allora nunzio in Turchia, scrisse ai fratelli che la guerra avrebbe portato sofferenze, ma pure «benedizione e prosperità per il nostro caro Paese».
Quando Germania e Italia attaccarono l'Unione Sovietica, il Vaticano e l'Osservatore Romano non nascosero la soddisfazione per l'aggressione. E ancora il 13 giugno 1943 - un mese prima del bombardamento di Roma - Pio XII ricevendo una rappresentanza di lavoratori cattolici, indugiava sui diritti del lavoro opponendosi contro «i falsi profeti della lotta di classe e della dittatura del proletariato», e sostanzialmente schierandosi a favore del corporativismo fascista.
Il Vaticano, dunque il Papa, non avrebbero mancato di prendere una posizione politica netta il 1° luglio 1949, con la scomunica dei comunisti: quella che non c'era stata contro i nazisti. È vero che una condanna esplicita di Hitler sarebbe servita a poco, anzi avrebbe peggiorato la situazione dei cattolici tedeschi, e messo in pericolo lo stesso Vaticano. La scelta del papa fu un'oculata e prudente decisione politica, da capo di Stato responsabile. Ma un uomo di grande sensibilità, Dino Buzzati, che visse il tormento di quegli anni, spiegava così la caduta di sentimenti religiosi nell'Italia del dopoguerra: «Pio XII doveva levare la voce in una definitiva condanna, rischiando qualsiasi cosa: anche che lo fucilassero e con lui tutti i cardinali. Anche che bruciassero il Vaticano. Avrebbe salvato la Chiesa e avremmo creduto tutti.
Se così non è stato, è segno che è intervenuto l'opportunismo, il problema preminente del sussistere. E certe cadute dello spirito si pagano». È addirittura inutile frugare negli archivi segreti se prima non si accetta questo semplice, profondissimo concetto.Giordano Bruno Guerri
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