Il soprannome che solletica di più il suo ego è «Pavone». Sarà perché - come tutti i giornalisti di successo - Alessandro Cecchi Paone (54 anni, nato a Roma, laureato col massimo dei voti in Scienze politiche) ama fare la ruota con le piume colorate del suo curriculum professionale: programmi tv (in primis scienza e storia) di grande audience, decine di libri, docente universitario, molti premi. Apprezzato dal pubblico perché, come viene definito su Wikipedia, è uno «tra i più autorevoli divulgatori italiani». La popolatissima isola degli spocchiosi non fa per lui. Ha bazzicato invece l'Isola dei famosi. Qualcuno ancora glielo rinfaccia. Forse a ragion veduta.
Di recente, su Rai3, nella trasmissione Tv Talk, sono stati bonariamente riesumati i suoi «scheletri» nascosti negli armadi televisivi: risse trash, travestimento da orsacchiotto, imitazione da scimpanzé. Un mix tragicomico guardato con autoironia dal neo anchorman del Tg4 diretto da Mario Giordano che su Cecchi Paone, dallo scorso 4 aprile, ha puntato per il rilancio di un telegiornale nazional-popolare che per decenni ha avuto il volto di Emilio Fede.
Le casalinghe e le vecchiette che veneravano l'«Emilio Fido» (come lo battezzarono quelli di Striscia la notizia), hanno assimilato lo choc del cambiamento?
«Direi di sì. E pur con il massimo rispetto per casalinghe e vecchiette, i primi dati di ascolto dicono che stiamo gradualmente coinvolgendo anche un pubblico più giovane e culturalmente evoluto. Il tg ce l'ho nel sangue, il primo l'ho diretto a 15 anni».
Scusi, non ho capito bene... a 15 anni?
«Sì, a 15 anni».
Che esagerazione. Andava in onda su Tele Bambino Prodigio?
«A 15 anni ero effettivamente un bimbo prodigio, infelice come lo sono quasi tutti i bambini prodigio...».
Da quell'età in poi ha puntato direttamente a conquistare la scrivania di Cnn Breaking News?
«No, mi sono accontentato di condurre il Tg2 Rai delle 13. Ma dai 20 ai 30 anni sono anche andato in analisi da uno psicanalista».
Uno strizzacervelli?
«Sì, ebreo e di scuola junghiana. Il massimo in tema di sensibilità e apertura mentale».
Perché ha avuto bisogno di stendersi sul lettino?
«Non riuscivo a conciliare la mia età anagrafica con le grandi responsabilità professionali di cui mi stavo già facendo carico».
Dice il proverbio: «Chi bello vuole apparire, un poco deve soffrire...».
«Ma io ho sofferto tanto. I miei coetanei giocavano, si divertivano, avevano i primi flirt con le ragazzine. E io invece studiavo e lavoravo. Avevo la sindrome del primo della classe e liberarmene non è stato facile».
Come non è stato facile fare coming out sulla sua identità sessuale. In quel periodo era lanciatissimo: autorevolezza e popolarità erano alle stelle. Cosa le è venuto in mente di parlare di omoaffettività?
«Proprio perché ero al top del gradimento del grande pubblico, decisi di parlare per primo dei diritti civili dei gay. Sapevo che le mie denunce non sarebbero cadute nel vuoto. Che avrebbero scosso le acque. E così è stato».
Non ha mai temuto, con quella confessione, di bruciarsi umanamente e professionalmente?
«No, anzi penso di avere acquisito ulteriore credibilità agli occhi di chi aspettava di essere rappresentato da un personaggio fuori dai soliti cliché».
Insomma, esattamente l'atteggiamento opposto a quello che le ha contestato Fabrizio Corona, accusandola nel programma di Maurizio Costanzo di avere sfruttato la sua omosessualità a fini carrieristici.
«A uno come Corona non vale la pena neppure di rispondere. Infatti mi sono alzato e ho abbandonato la trasmissione».
Una scena che ha ricordato un altro celebre abbandono: nel 2001, durante la cerimonia dei Telegatti, uscì dal teatro, inveendo contro la scelta di inserire la sua Macchina del tempo nella stessa categoria del Grande Fratello.
«Quell'abbinamento era improprio, offensivo nei riguardi della cultura e della scienza. Il Grande Fratello era un reality di intrattenimento, nulla a che fare con la divulgazione di alto livello della Macchina del tempo».
Torniamo al suo nuovo Tg4. Nei servizi dedicati ai profughi lei ha parlato dell'importanza di creare ponti piuttosto che muri. Sono gli stessi concetti espressi dal Papa. Lei, un ateo, fulminato sulla via di Damasco, anzi, sulla strada di Bergoglio?
«Non sono ateo, ma laico. Conosco bene il fenomeno dell'immigrazione. Perché anche la mia famiglia l'ha vissuto sulla propria pelle».
Una volta Sgarbi le urlò in faccia 15 volte «capra» e altre 15 «taci», accusandola di detestare i preti.
«Ricordo bene. Povero Sgarbi. Io rimasi impassibile. Lui sbroccò, facendo una figuraccia. In realtà io detesto la vecchia Chiesa che per millenni ha operato con protervia e arroganza. Anche contro gli omosessuali. L'opposto di quanto sta facendo Papa Francesco, che le braccia le apre, piuttosto che chiuderle».
Torniamo al Tg4 della coppia Giordano-Cecchi Paone, con lei in diretta dal lunedì al venerdì dalle 18.55 alle 19.55: un tg che dura un'ora, non è troppo?
«Abbiamo scelto una formula diversa. Ritmi meno serrati ma informazioni più accurate. Con Giordano c'è grande intesa e amicizia».
Spiccano gli approfondimenti in stile Non è mai troppo tardi, mitica trasmissione degli anni '60 col maestro Manzi.
«Il paragone è un po' d'antan, ma non mi dispiace. La sua era l'Italia degli anni '60».
Quello era un Paese che aveva ancora grandi sacche di analfabetismo. Oggi la situazione è migliorata. Ma la cultura di massa resta una chimera.
«Ed è anche un po' colpa di noi giornalisti. Spesso, ad esempio, diamo per scontato che la gente conosca esattamente dove si trovano i luoghi di cui parliamo o scriviamo nei nostri servizi. Presumiamo che conoscano i tanti inglesismi che a volte usiamo senza alcuna necessità. È per questo che nel nuovo Tg4 ci sono momenti di pausa in cui spieghiamo didascalicamente le notizie e le approfondiamo».
Insomma, accompagnate per mano le casalinghe che erano lo zoccolo duro di Fede.
«Però senza rinunciare ad acquisire un nuove fette di pubblico. Per esempio per le edizioni del fine settimana stiamo ipotizzando una conduzione etnica con colleghi appartenenti alle comunità più radicate nel nostro Paese: araba, africana e cinese. Alla conduttrice con il chador arriveremo pian piano. Col supporto della nostra redazione, animata da grandi professionisti e un ottimo clima di squadra».
Vuoi vedere che è nato il Leicester dell'informazione, con Giordano al posto di Ranieri (l'allenatore) e lei nel ruolo di Vardy (il giocatore più rappresentativo)?
«L'entusiasmante storia del Leicester (la squadra-miracolo che ha vinto la Premier League) sta lì a dimostrare che non bisogna mai rinunciare ai sogni. Impegno e passione possono fare il miracolo. E un piccolo club può vincere il campionato, battendo le squadre più grandi e blasonate. Vogliamo raccontare le tante magagne dell'Italia ma anche le eccellenze».
Squadre grandi, blasonate, ma a volte bolse come spesso è l'informazione. Chi sta messa peggio tra tv e carta stampata?
«La carta stampata. Ma anche la televisione è ferma. Non c'è voglia di rischiare, scommettere. E la Rai ha rinunciato al suo ruolo di servizio pubblico».
C'è un quotidiano che le piace?
«La Stampa è fatta bene. Stimo molto il direttore Molinari che è stato il mio compagno di banco ai tempi della Voce Repubblicana, fummo assunti insieme da Spadolini».
Colleghi tv che apprezza?
«La Annunziata e Mentana, anche se a volte sono un po' malati (nel senso buono del termine) di politica».
E di Porro che mi dice?
«Sull'islam ha preso delle posizioni decisamente coraggiose. Lo apprezzo anche come editorialista».
Per concludere: Fede chiede, cortesemente, se nel nuovo Tg4, si possono, in suo onore, almeno reintrodurre le sexy meteorine...
«Lui, in carriera, ne ha scoperte tante. Ora si riposi. E si goda la pensione...».
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