Un nuovo capitolo viene ad allungare e a complicare la vicenda in stile Le Carré che vede contrapposte Gran Bretagna e Russia. Dopo l’incredibile avvelenamento con materiale radioattivo in un bar di Londra dell’ex agente segreto russo, poi diventato cittadino britannico, Alexander Litvinenko; dopo il rifiuto russo di estradare nel Regno Unito Andrei Lugovoi, fortemente indiziato dell’omicidio di Litvinenko; e dopo l’espulsione dal Regno Unito di quattro diplomatici russi come ritorsione è ora il turno di un altro protagonista della spy-story, il miliardario russo in esilio in Inghilterra Boris Berezovsky, di agitare le acque con nuove pesanti rivelazioni.
«Scotland Yard mi ha informato che la mia vita era in pericolo e mi ha raccomandato di lasciare il Paese per una settimana - ha raccontato ai media britannici il 61enne magnate e nemico giurato del presidente russo Vladimir Putin -. Me ne sono andato tre settimane fa, e ho fatto ritorno solo quando la polizia mi ha fornito garanzie sulla mia sicurezza personale». Non si tratta di fantasie di Berezovsky, che è ricercato in Russia per frode e corruzione politica e che dal 2001 è sopravvissuto a diversi tentativi di ucciderlo che lui attribuisce esplicitamente a Putin, specialmente da quando questi ha fatto approvare una legge che autorizza l’uccisione dei «nemici della Russia all’estero»: ieri sera la polizia britannica ha confermato che un uomo sospettato di avere un ruolo nel complotto per uccidere Berezovsky è stato arrestato lo scorso 21 giugno, e affidato all’ufficio per l’immigrazione due giorni dopo. Il comunicato di Scotland Yard è laconico, ma ciò può significare che l’uomo sia stato rispedito da dove proveniva.
Secondo il racconto fatto dal miliardario russo in esilio, suoi informatori russi e dell’ambiente dell’intelligence lo avrebbero avvertito che «un uomo accompagnato da un bambino per non destare sospetti sarebbe venuto in Inghilterra con l’intenzione di prendere contatto con me, di fissare un presunto appuntamento d’affari riservato in una stanza dell’hotel Hilton di Londra, dove invece mi avrebbe dovuto uccidere con un colpo alla nuca». Berezovsky afferma che il suo mancato assassino, secondo il piano architettato dai suoi mandanti, non avrebbe dovuto tentare la fuga, bensì lasciarsi catturare per poi sostenere che l’omicidio aveva un movente legato unicamente a questioni d’affari, scagionando così un ipotetico mandante politico in Russia. «Così facendo - prosegue nel suo racconto Berezovsky - sarebbe stato condannato a vent’anni di carcere, ma avrebbe finito con lo scontarne solo una decina: in cambio di questo servizio lui e la sua famiglia sarebbero stati profumatamente pagati».
Interpellato su questi sviluppi, l’ambasciatore russo a Londra Yuri Fedotov ha detto di non essere a conoscenza di nulla che possa confermare la teoria del complotto contro la vita di Berezovsky, aggiungendo di «escludere» che il suo governo possa essere in alcun modo coinvolto nella vicenda. Fedotov ha definito la notizia diffusa dai media britannici «abbastanza strana» e ha ricordato che il nome di Berezovsky è collegato «con molti intrighi della criminalità internazionale, per riciclaggio di denaro sporco, corruzione e crimine organizzato».
La vicenda del presunto mancato omicidio di Berezovsky ha un collegamento quasi diretto con la crisi anglo-russa provocata dall’assassinio di Litvinenko nello scorso novembre. Il miliardario russo, che ebbe un ruolo di eminenza grigia durante l’era Eltsin e ha lo status di rifugiato politico nel Regno Unito, era infatti un amico di Litvinenko e accusa apertamente Putin del suo omicidio, come del resto fece dal suo letto di morte in un ospedale di Londra la stessa vittima.
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