"Io nipote dello zar vi dico: riportate in Italia il vostro re"

L'ultimo pretendente al trono russo: "Maria Gabriella di Savoia ha ragione Le spoglie di Vittorio Emanuele III devono riposare nella Penisola Sono parte della storia del Paese"

"Io nipote dello zar vi dico: riportate in Italia il vostro re"

Sua Altezza Imperiale, il Granduca George Mikhailovich Romanoff, erede al trono di tutte le Russie, è nato in esilio a Madrid. A 34 anni vive a Bruxelles e va spesso in visita ufficiale nell'ex impero, ma ama l'Italia. Nel nostro Paese, che conosce bene, ha incontrato Rebecca, la sua fidanzata, difesa da un inattaccabile scudo di riservatezza.

Come ci si sente ad essere l'erede al trono dello Zar?

«Discendere da una famiglia dal passato così ricco di storia e gloria come i Romanoff è un onore. Mi rendo conto di come il nome che porto rievochi nelle mente delle persone di qualsiasi nazionalità e cultura qualcosa di forte. Per qualche motivo nell'immaginario collettivo la Russia ed i Romanoff sono avvolti da un'aurea di charme e mistero».

C'è spazio nella Russia di oggi per un ruolo, anche simbolico, dello zarismo?

«Nelle società moderne la politica è vista come un fatto “tecnico”, mentre nei confronti di un re si prova un sentimento diverso, come se egli incarnasse in tutto e per tutto lo Stato. Per questo arrivo a dire che in qualunque Paese si può ipotizzare un ritorno della forma monarchica, ovviamente con dei connotati molto diversi da quelli dell'assolutismo. E quando vado in Russia rimango sempre molto toccato dalle manifestazioni di affetto e nostalgia della gente comune nei confronti della Casa imperiale. Oggi, naturalmente, la monarchia deve inserirsi nel moderno contesto socio-economico-culturale in cui il re, attraverso un processo di identificazione, garantisce l'unità del popolo, del Paese e lo rappresenta nel contesto internazionale. In Russia, come in tutte le nazioni ex monarchiche c'è chi sostiene che la presenza di una rinnovata monarchia possa offrire dei vantaggi al Paese. Come ovvio sono decisioni che deve prendere il popolo e noi non abbiamo mai preteso nulla, ma se i cittadini ritenessero opportuno un ritorno della monarchia non mi tirerei indietro».

Il Giornale ha pubblicato la lettera della principessa Maria Gabriella di Savoia per riportare in Italia le spoglie del re «soldato», Vittorio Emanuele III, sepolto in Egitto. Cosa ne pensa?

«Sono assolutamente d'accordo. Un re è parte della storia di un Paese e della sua memoria collettiva, che rappresenta il tassello più importante di una società e del suo sviluppo. Non bisogna mai cancellare la storia perché riflette ciò che siamo».

Lei viene spesso privatamente in Italia. Cosa le piace del nostro Paese?

«Tutto! Fin dalle prime volte sono rimasto affascinato dalle bellezze della Penisola. E mi è persino difficile dire con certezza quale sia la parte che preferisco. L'Italia è bella tutta: dal nord al sud. Ed è bella la gente, la cultura, il modo di vivere, la cucina. Vado spesso a Roma dove non perdo occasione per visitare il Pantheon (con le tombe dei re d'Italia, ndr) , un monumento incredibile. Anzi, mi consenta di salutare proprio le Guardie d'onore del Pantheon, che mi hanno ricevuto con un affetto ed un calore indimenticabili».

Quali località italiane frequenta?

«Quando sono a Roma adoro andare in giro perdendomi nei vicoletti e scoprire qualche nuovo ristorantino sfizioso o una fontana mai vista. Roma è una città che riesce a stupirti sempre, anche quando pensi di conoscerla benissimo. Ormai me la cavo bene pure con l'italiano, una lingua così melodica che a parlarla sembra di cantare. Adoro la capitale ma vado ovunque: da Genova a Milano, da Napoli alla Sicilia... Non frequento un posto in particolare, ma luoghi dove ho amici o sono spinto da qualche motivazione professionale oppure, semplicemente, vengo invitato per uno specifico evento. Ogni scusa è buona».

Lei descrive solo un'Italia idilliaca...

«Purtroppo rispetto a qualche anno fa vedo che gli effetti della crisi sono sempre più tangibili in tutte le città italiane e ciò mi rattrista. L'aumento spropositato delle tasse a cui consegue la vendita del patrimonio storico, culturale ed economico di un Paese porta inesorabilmente a svendere anche la propria identità».

L'Italia sembra più attenta di altri Paesi verso la Russia. Possiamo avere un ruolo di ponte con Mosca?

«Storicamente la vicinanza tra i nostri Paesi è forte. Basta pensare che il cuore del Cremlino a Mosca, così come i palazzi imperiali di San Pietroburgo sono stati costruiti dagli italiani. La vostra è una nazione con un enorme vantaggio rispetto ad altre: per quanto le sue proporzioni siano piccole, se le si paragona alle dimensioni dei nuovi attori globali, i famosi Brics, è un concentrato di manifattura e manodopera incredibile. Il vostro tessuto produttivo non finisce mai di stupire per l'inventiva, la capacità di immaginare, di creare prodotti che ovunque nel mondo vengono riconosciuti ed apprezzati. Il Made in Italy è qualcosa che nessuno riesce a copiare ed è ciò che tutti, soprattutto i russi, desiderano. Anche dal punto di vista religioso le nostre due confessioni attraversano un periodo di intenso dialogo. Ho avuto l'onore di essere ricevuto in udienza dal precedente Pontefice e noto con piacere che anche Papa Francesco è molto aperto verso la nostra confessione ortodossa».

Ma di mezzo ci sono le sanzioni alla Russia per la crisi in Ucraina...

«L'attuale situazione politica ha reso le relazioni molto difficili e purtroppo i singoli Stati Ue non possono decidere autonomamente della propria politica estera, ma devono attenersi alla volontà dell'Europa. Un'impasse che speriamo si riesca a superare presto, perché pregiudica gravemente le vostre imprese. Non dimentichiamo che la Ue importa il 35% del suo fabbisogno energetico dalla Russia e l'Europa ha visto in un solo anno il livello delle sue esportazioni verso Mosca crollare da 120 miliardi di euro a poco più di 100. L'Europa dovrebbe valutare attentamente quali passi seguire, perché la Russia confina direttamente con le vostre frontiere ma anche con quelle di importanti Paesi asiatici. E forse sarebbe più saggio mantenere delle relazioni diplomaticamente distese con il mio Paese per evitare che si volti a cercare partnership più strette con nazioni come la Cina, che non sono i suoi naturali alleati».

Le sembra possibile una soluzione tipo Alto Adige per la crisi del Donbass, la regione orientale dell'Ucraina, filorussa, che non vuole saperne di Kiev?

«La pace deve tenere conto delle realtà geopolitiche e del rispetto delle minoranze linguistiche. Per questo sono favorevole al coinvolgimento degli osservatori internazionali nella questione, che potrebbe in effetti risolversi con un modello simile a quello altoatesino».

Cosa pensa del presidente Putin, che molti chiamano il nuovo Zar?

«Un uomo preparato, saggio ed esperto, che sa come gestire uno Stato così grande e difficile come il nostro. Certamente non è uno Zar, visto che è stato eletto in modo democratico e il suo autoritarismo non è dissimile da quello di altri leader internazionali. Non era un compito facile, ma ha saputo traghettare il Paese dalla fase post comunista all'attuale contesto globale. La Casa imperiale supporta il presidente in tutto ciò che contribuisce al recupero delle tradizioni, alla conservazione del patrimonio storico, a rafforzare il benessere del Paese. Ovviamente su certi temi specifici non sempre sposiamo appieno le idee del presidente, ma, come le dicevo, io non faccio politica».

Da una parte gli americani pianificano l'invio di truppe e carri armati nei Paesi baltici. Dall'altra il Cremlino annuncia nuovi missili nucleari. Rischiamo qualcosa di peggio della guerra fredda?

«Le guerre “vecchio stile” sono superate. Oggi si fanno a colpi di economia, ma non creda che siano conflitti meno cruenti. Quanto all'annuncio dei nuovi missili nucleari è corretto dire che si tratta, appunto, solo di un annuncio. E comunque si troverebbero sul territorio nazionale russo, mentre gli Usa vogliono mandare carri armati e truppe sul territorio di uno Stato sovrano di un altro continente. Sarebbe come se la Russia inviasse soldati in America centrale».

In Crimea e nel Donbass abbiamo visto il ritorno dei cosacchi e delle bandiere con il volto dell'ultimo Zar. Come spiega questo revival?

«Senza dubbio tra i cosacchi, in Crimea e tra le milizie nel sud-est dell'Ucraina ci sono dei convinti monarchici, ma a volte i simboli imperiali vengono utilizzati dalle organizzazioni più disparate, persino da comunisti e nazionalisti radicali.

Ciò avviene perché le bandiere imperiali simboleggiano la forza e la grandezza di un tempo. Da sempre nei momenti di crisi si attinge al simbolismo del passato più glorioso. Lo faceva anche Mussolini inneggiando ai fasti di Giulio Cesare».

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