nostro inviato a Torino
Massì, ogni tanto si può fare. Gli U2 si sono ritrovati in un ristorantino, il «Birilli» di proprietà di Chiambretti giusto sotto Superga, e hanno detto tutto, proprio tutto, di fianco agli altri clienti che neppure si erano accorti di loro. Succede di rado, sarà l’euforia per il concerto di venerdì qui allo Stadio Olimpico che apre il loro ennesimo tour mondiale. Bono in ciabattine e occhiali, Adam Clayton che sempre più sembra Cary Grant, Larry Mullen riservato come al solito, The Edge torrenziale più del solito: gli U2, signori, 160 milioni di copie vendute e un rock che loro hanno declinato meglio di tanti altri. «Nei prossimi mesi non ci scioglieremo», scherzano davanti a un bicchiere di Barbaresco perché «non saprei dove altro andare», come spiega Larry, o perché «sarei troppo preoccupato della sorte degli altri tre» per dar retta a The Edge nascosto sotto il suo solito cappellino nero. Poi c’è Bono, che parla a raffica. Alla sua maniera, irresistibile.
Bono, intanto il suo infortunio alla schiena (ernia del disco, dicono).
«Ho scoperto di non essere indistruttibile come pensavo. E faccio una riabilitazione diversa da quella tipica delle rockstar: quattro ore di fisioterapia al giorno».
Tempo per meditare.
«Io e gli U2 abbiamo sempre pensato al futuro, stavolta ho riflettuto anche sul passato. Ero pieno di morfina, ho pure ricominciato a fumare per un po’. Al nostro manager Paul McGuinness è venuto un infarto, anzi un colpo apoplettico, anzi una gravidanza isterica, quando ha dovuto annunciare a un milione di persone che il tour era sospeso».
Però tornate adesso. E state provando anche nuove canzoni. Come «Glastonbury».
«Ne abbiamo tre pronte ma decideremo domani quali eseguire dal vivo. Comunque abbiamo già quattro progetti».
Addirittura.
«Uno è Songs of ascent, un disco ambient. C’è la colonna sonora del musical Spiderman. E un cd che è un omaggio alla musica da club. E il disco rock. Chris Martin dei Coldplay mi ha telefonato: “Perché non riunite tutte le canzoni migliori in un solo disco?”».
Già, perché?
«È la nostra musica che decide quando uscire».
Vi piace presentarla in modo smisurato. Come il palco di questo tour.
«Siamo come Francis Ford Coppola o Federico Fellini, attirati dalle grandi scenografie».
Bono, oggi i gruppi si sfaldano spesso dopo il primo successo.
«Beh, gli Arcade Fire hanno le palle».
Sono giovani. Poi si cambia.
«Anche a Pavarotti rinfacciavano di non avere più la voce dei trent’anni. Ma la musica non è solo una questione matematica. Come si poteva chiedere a Muddy Waters di cambiare la sua voce o di non bere più whisky?».
Voi comunque siete qui da tre decenni.
«L’ego rimane fuori dalla band. E - volete sapere? - ormai credo che stare in un gruppo sia una forma più alta di evoluzione. Sting, che pure continua a scrivere ottime canzoni, ha fatto la sua migliore produzione con i Police».
Allora, qual è il vostro segreto?
«Per noi la musica è una sorta di sacramento. Ciò che fa la differenza è l’alchimia. Quando arriviamo sul palco mi accorgo che il pubblico ha la pelle d’oca. Ma ce l’abbiamo anche noi. E questa è l’alchimia».
Ma la musica sta cambiando, ormai.
«E difatti stiamo pensando di pubblicare il nostro prossimo disco come un’applicazione. Oggi con laptop, iphone e ipad la musica può tornare a essere un fenomeno visivo. In fondo Elvis e Beatles erano fenomeni anche visivi. Come Lady Gaga».
Appunto.
«È molto più che una popstar, è un’artista. Poker face è bellissima, la suona pure mia figlia».
Bono, lei si dà da molto fare pure come attivista. E ha incolpato Berlusconi di non contribuire come promesso alla riduzione del debito del Terzo Mondo.
«Sto lentamente conoscendo la vostra situazione politica, che è tra le più complesse. Noi di Red (la sua organizzazione, ndr) non ci facciamo prendere ostaggio da destra o sinistra. Sono stato criticato quando mi hanno fotografato con Bush, ma intanto lui ha triplicato i fondi per il Terzo Mondo».
E Berlusconi?
«L’ho incontrato a Genova nel 2001, poi mi ha inserito nel manifesto elettorale nel 2006 ed ero contento se questo significava il versamento dei fondi. Poi però da due anni l’Italia non paga. Ma la colpa è nostra perché non siamo riusciti a creare il clima popolare che facesse pressione sui governi».
Le opinioni pubbliche oggi sono meno battagliere. Obama ha preso il Nobel per la pace mentre è in guerra con i talebani. Pochi si sono scandalizzati.
«Difficile entrare nella mente di Obama. Ma credo che il premio sia un incoraggiamento alla sua volontà di capire culture diverse dalla nostra. Ecco, questo è il segreto: capire le culture diverse da noi».
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