L'aspetto più tragico non è tanto quell'enorme baratro accanto a Ponte Vecchio, ma sapere che Firenze sia l'ottava città con le tariffe idriche più care d'Italia (402 euro a famiglia nel 2015) e che nulla di quello che viene prelevato ai cittadini è poi reinvestito. Quando accadono certi disastri, non si tratta quasi mai di fatalità. Un responsabile c'è sempre. E in questo caso si chiama Publiacqua, la più grande azienda idrica della Toscana, che si occupa del servizio idrico per le province di Firenze, Prato, Pistoia e parte di Arezzo. Tra i soci 46 comuni (tutti Pd) e dal 2006 pure soci privati tra i quali Mps Spa che si aggiudica il 40% del capitale sociale.
L'aspetto più grave è che lo scorso 4 maggio l'assemblea dei soci ha approvato il bilancio 2015: utili netti per 29,57 milioni di euro e dividendi tra i soci per 18,49 milioni (2 milioni in più rispetto all'anno precedente). Visto ciò che è accaduto ieri si evince da questo che nulla o quasi viene reinvestito nella manutenzione della rete idrica. Le perdite nelle tubature colabrodo dell'acquedotto sono presenti da anni. A Firenze c'è un reticolo idrico fatto da 225 chilometri di tubi in amianto, mentre quelli che non sono in amianto determinano perdite d'acqua fino al 51%. Acqua che i cittadini pagano lo stesso ma che finisce per erodere il terreno. «Evidentemente l'interesse dei privati a spartirsi i soldi derivanti dalle bollette dei cittadini prevale sull'interesse pubblico», commenta il deputato toscano di Alternativa Libera, Samuele Segoni, membro della commissione Ambiente della Camera.
L'aspetto più comico (oltre alle dichiarazioni del sindaco Dario Nardella che scarica le colpe su Publiacqua e dice «Firenze è sicura, l'importante è che non ci siano vittime, «situazione sotto controllo»), è che Publiacqua sia da anni uno dei più prolifici «poltronifici» renziani di Firenze, dove parcheggiare amici e sostenitori. Erasmo D'Angelis, l'uomo giusto per tutte le stagioni, è stato messo dall'allora sindaco di Firenze Matteo Renzi a presiedere la società per due mandati, dal 2009 al 2013, quando venne nominato sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti nel governo Letta (riconfermato da Renzi che, ironia della sorte, lo vuole a capo della struttura di missione sul dissesto idrogeologico #italiasicura). Dalla Rai al Manifesto, diventa presidente di Legambiente Toscana, ex consigliere regionale, ed è tra i fondatori della Margherita a Firenze. Renzi nel 2015 lo nomina direttore de L'Unità ricostituita.
I cittadini però lo ricordano solo per l'inaugurazione dei fontanelli, le salatissime bollette calcolate sul consumo presunto, le rotture delle tubazioni. Questa, infatti, non è la prima volta. Nel 2009, alla periferia nord, si aprì una maxi-voragine per la rottura di un tubo dell'acqua. Nel 2013 un altro crollo sullo stesso lungarno per la stessa ragione. Eppure già nel 2012 D'Angelis avvertiva: «Collassano i tubi in ghisa che hanno oltre 50 anni d'età e non reggono alle sollecitazioni del traffico o agli sbalzi di temperature». Niente però è stato fatto.
Nei cda presieduti da D'Angelis, sedeva anche una rampante Maria Elena Boschi. È Francesco Bonifazi, oggi tesoriere del Pd, a spingere su Renzi sindaco affinché Maria Elena entrasse nella partecipata (22mila euro all'anno il compenso). Oggi il presidente della società è Filippo Vannoni, che come secondo lavoro fa il consulente a Palazzo Chigi. Ex manager di Rai Trade, Vannoni è il marito di Lucia De Siervo, già capo di gabinetto di Renzi, figlia di Ugo (ex presidente della Corte costituzionale) e sorella del renzianissimo Luigi De Siervo, ex ad di Rai Com. Amici sistemati.
Proprio uno di questi, il sottosegretario Luca Lotti, da Montelupo si è precipitato subito sul luogo del cataclisma, che pareva
quasi «il Perozzi» di Amici Miei quando viene beccato a letto con la moglie del fornaio, durante lo straripamento dell'Arno. A proposito, quest'anno è proprio il 50esimo anniversario dell'alluvione del '66. Tanti auguri.
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