Gianluigi Nuzzi
Ex tangentisti, docenti, uomini d’affari brasiliani, imprese quotate e finanziarie panamensi. Poi i grandi affari: il metano dal Caucaso, le discariche in Romania, la metanizzazione di Belgrado sino al nolo di elicotteri su Panarea. Oggi la caccia al patrimonio occulto di Vito Ciancimino, accumulato grazie alle attività per le quali l’ex sindaco di Palermo era stato condannato a 13 anni per associazione mafiosa e corruzione aggravata, è un vaso di Pandora. Dalla Sicilia attraversa continenti: dalle banche di Miami ai giacimenti nel Caucaso. Fa emergere tesori, holding, Ferrari, conti cifrati e barche. Un patrimonio stimato dall’accusa in almeno 150 milioni riconducibili al primo politico condannato per mafia in Italia morto nel 2002.
La sfida di Don Vito. Nel 1991 la caccia al tesoro nacque più come sfida. Innescata in Tribunale da un don Vito più sprezzante che mai: «Nell’arco della mia vita - sibilò - ho guadagnato somme più del doppio di quelle che mi sono state sequestrate». Ancora: «Se ho conti all’estero, mi chiede? Ma perché dovrei risponderle, per farmi sequestrare il resto?». Il sostituto in aula era Giuseppe Pignatone. Oggi, 14 anni dopo, Pignatone lo ritroviamo procuratore aggiunto e coordina il Pool di questa indagine. Cinque magistrati, esperti dei carabinieri affiatati con i colleghi della polizia valutaria della Gdf. E il monitoraggio discreto dell’Ufficio italiano cambi che segnala ogni movimento finanziario sospetto. Le antenne sono rivolte ai figli dell’ex sindaco: Massimo, in primo luogo, ma anche Luciana, Roberto e Giovanni. E su due fidati collaboratori. Il panormita Gianni Lapis, negli anni ’80 consulente commerciale di don Vito, oggi professore di Diritto tributario a Palermo. E Giorgio Ghiron, avvocato con studio a Roma, sedi a Napoli Londra e New York, che conobbe Ciancimino nei fulgidi anni ’70 e lo assistette da difensore di fiducia. Per la procura i due gestiscono in ombra il patrimonio su indicazioni di Massimo Ciancimino.
Gas e soldi di Madrid. La caccia? Gli inquirenti ritengono che la metanizzazione della Sicilia fosse uno dei grandi affari sul quale puntava don Vito tramite la Gasdotti azienda siciliana Gas spa, holding palermitana dove né ieri né oggi nessun Ciancimino ufficialmente appare. Ma per i Pm è cosa dell’ex sindaco e dei suoi eredi. Lo dicevano pentiti come Giovanni Brusca, Antonino Giuffrè, Vincenzo Ferro e Ciro Vara. Lo si capisce dalle intercettazioni su Massimo Ciancimino, agente di un importante mobilificio per la Sicilia occidentale con l’insolito hobby del metano. Lo dicono appunti e una scrittura privata tra il giovane imprenditore e Ghiron, sequestrata nel garage del legale e dalla quale emerge che Ghiron fa il prestanome. Ma nel gennaio 2004 sei società della Gas spa (Agragas, G.A.S., Normanna Gas, Gea, So.Re.Co e Gas Fondiaria) passano di mano per 116 milioni al colosso spagnolo Gas Natural. Quel giorno dal notaio, pur non possedendo formalmente un’azione, si presenta anche Massimo Ciancimino. Che, tra l’altro, si preoccupa di prenotare l’albergo a tutti i venditori.
Da Miami al Kazakhstan. Da quest’estate si ripetono i sequestri per recuperare i 116 milioni pagati dagli spagnoli. Ma una parte del denaro sfugge. Almeno per ora. Si cerca la pista giusta dalla mappatura degli affari trattati al telefono. Ai finanzieri della Valutaria e all’Arma pare evidente che Ciancimino e Lapis utilizzano Sirco e Fingas per estendere il modello metano caro a don Vito all’estero, nei Balcani e nell’est Europa. Dal metano della Gazprom al pedaggio sul ponte dello Stretto, sino ai contatti di Fingas con la società Revne per acquistare metano in Ucraina. Si seguono denari in mezzo globo: due milioni di euro versati da Lapis ad alcuni conoscenti, come il costruttore Luigi Francesco Geraci, a saldo di un «debito morale»: una perdita finanziaria subita in una truffa internazionale. Altri 215mila euro vengono bonificati a Andrei Alonso, uomo d’affari brasiliano presso la Ocean Bank of Miami. Non basta. Dagli atti emerge l’acquisto da parte della Sirco del 40% di Tecnoplan Spa, società romana di progettazione di linee elettriche e di centrali elettriche. Ai suoi vertici troviamo Valerio Bitetto, già consigliere dell’ Enel e finito in carcere per tangenti durante Mani Pulite. In Abruzzo, invece, i tre si fermano a Tagliacozzo, provincia dell’Aquila, acquistando parte di Alba d’Oro srl, impegnata a realizzare un impianto turistico.
Le azioni in Borsa. Più fortuna nell’Est Europa. Un rivolo consistente emerge in Romania dove Lapis rileva dalla Kris Sa, riferibile al campano Nicola Colucci, il 51% di «Agenda 21», leader nella realizzazione e gestione di discariche. Sirco finanzia Agenda21 per quasi 10 milioni. E tutto finisce sotto sequestro. Al vaglio il 51% de «L.P. Gas», operante nel settore della metanizzazione di Belgrado e la partecipazione da 250mila euro in Pure Energy, azienda con interessi in Kazakhstan e che intende importare metano dai Paesi del Caucaso.
Altri sequestri riguardano una società che produce carte di credito, la Kaitech Spa, quotata al nuovo mercato. Nella scrittura spartitoria Ghiron-Ciancimino era infatti evidenziato che «per quanto concerne l’investimento di euro 1.900.000 fatto a favore del signor Camilleri per la sottoscrizione del capitale della Kaitech, il signor Massimo Ciancimino e Ghiron concordano che al momento della vendita delle azioni acquistate, l’utile sarà così suddiviso: 60% a Ciancimino e 40% a Ghiron». Spulciando tra i bilanci si scopre che Sirco aveva acquistato nel 2004 una minoranza da 125mila euro nella lussemburghese Camtech Sa.
Questa deteneva il 45% circa della Cardnet Group Spa, che oggi, appunto, si chiama Kaitech.
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