Cambiasso, da Serra Riccò al centrocampo nerazzurro

C'è un genovese nel centrocampo dell'Inter anche se è difficile da individuare. Eppure, il suo cognome, dovrebbe suonare facile agli appassionati di calcio del capoluogo ligure: si chiama Esteban Cambiasso. Nella sua carta d'identità non traspare nulla della sua origine se non quel cognome al quale, se tolta una «s» è facile fare riferimento. È proprio grazie a queste radici che Esteban, nato a Buenos Aires nel 1980, può giocare nell'Inter: grazie a quel doppio passaporto, ottenuto nel 2004, che gli ha permesso di lasciare il Real Madrid per misurarsi nel campionato italiano.
Vecchio pallino del presidente nerazzurro Moratti, Cambiasso fu bloccato dall'Inter nel corso dell'operazione che portò Ronaldo in Spagna ma, la società nerazzurra, dovette attendere qualche mese per tesserare il calciatore perché lo spazio per gli extracomunitari era già occupato. Ma, nel frattempo, c'era chi stava lavorando per recuperare le origini italiane del centrocampista e permettergli di ottenere il passaporto italiano. A condurre queste ricerche Don Stefano Vassallo, sacerdote genovese, che dal 2000 al 2003 ha lavorato negli archivi della sua vecchia parrocchia, quella di Serra Riccò, paese nell'entroterra genovese, per ricostruire l'albero genealogico della famiglia Cambiasso, insieme a Don Guglielmo Cambiasso, sacerdote argentino che studia in Italia e cugino del calciatore dell'Inter. «Una ricerca curiosa ed entusiasmante - ricorda don Stefano - che ci ha permesso anche di ricostruire la storia di tanti italiani immigrati in Argentina». Frugando negli archivi parrocchiali, i cui documenti sono riconosciuti come ufficiali se precedenti all'unità d'Italia, e andando indietro fino alla metà dell'800 don Stefano riuscì a ritrovare il trisnonno ed il bisnonno di Esteban. Fu il trisnonno, Francesco Cambiaso, a partire alla volta di Buenos Aires lasciando Serra Riccò e l'Italia, in compagnia della moglie e degli 11 figli: «Fu un viaggio fortunato quello di Francesco che, arrivato in Argentina, per un errore di trascrizione nei documenti, divenne Cambiasso - racconta don Vassallo - La sua famiglia riuscì a realizzarsi e divennero proprietari terrieri, tanto che oggi, da quel ceppo di Cambiaso, anzi Cambiasso, partiti per l'Argentina su un vaporetto, si contano 170 famiglie tra Argentina e Stati Uniti».
Una storia di emigrati e di tradizioni culturali che ancora oggi si incrociano. Una storia che ha permesso a don Stefano di stringere un saldo legame con Esteban, suo padre e tutta la sua famiglia. Tanto che, nei mesi scorsi, il sacerdote genovese è stato ospite in Argentina della famiglia Cambiasso: «È stato molto bello tuffarsi in questa realtà particolare dove ci sono ancora tante testimonianze della “genovesità”: non solo a Buenos Aires, nel quartiere della Boca (che venne costruito dai genovesi ndr), dove è ancora possibile sentire parlare il ostro dialetto, ma anche nelle campagne argentine. In ogni appezzamento di terra, i nostri antenati emigrati consacravano una cappella alla Madonna della Guardia, e queste edicole sono ancora presenti. La spiritualità e la fede sono testimonianza di un legame forte tra questi emigrati e la loro terra d'origine».
Don Stefano, appassionato di calcio, è un tifoso sampdoriano doc, che, fino a qualche anno fa era spesso presente sulle tribune del «Ferraris» per seguire la squadra del cuore, dividendo le sue domeniche tra la Messa e lo stadio. Oggi, fa bella mostra in casa sua, della maglia con il numero 10 del Real Madrid che Esteban gli regalò nel 2001 con tanto di autografo, un cimelio di cui il sacerdote va fiero. «È un pensiero che ho apprezzato molto, - continua - così come gli auguri di Natale che mi spedisce ogni anno con tutte le firme dei giocatori dell'Inter».

Sabato però, c'è Inter-Sampdoria e, per 90 minuti l'amicizia verrà messa da parte: c'è da scommettere che tra il gol numero 100 di Flachi ed una rete dell'amico nerazzurro, don Stefano sceglierebbe la prima ipotesi: «Se segnasse, - scherza- la prima volta che mi invita a cena saprei come salutarlo!».

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