Carrefour, per le cassiere pipì solo ogni quattro ore

In bagno con il cronometro, è la nuova direttiva del gruppo ai dipendenti dei supermecati. Lettera ai dipendenti del gruppo Carrefour: "Per necessità più frequenti è necessario mostrare il certificato medico". I dirigenti si difendono: "E' solo un'indicazione di massima"

Carrefour, per le cassiere 
pipì solo ogni quattro ore

In bagno col cronometro. D’ora in poi, pause pipì numerate per le cassiere dei supermercati. D’altronde si tratta di funzioni fisiologiche, quindi la scienza sarà in grado di calcolare qual è la media. Ed ecco il conto, presto fatto: una puntatina al bagno in un turno di quattro-cinque ore è la frequenza normale, quindi accettata senza problemi. Oltre si sconfina: se le cassiere devono assentarsi più spesso escono dai limiti. Letteralmente: «Qualora ci siano frequenti necessità la pausa diventa patologica e va certificata dal medico», recita una circolare interna distribuita dal gruppo Carrefour.

Si parla di un colosso dei supermercati, che si deve organizzare, come suggerisce la categoria d’appartenenza, cioè la Gdo, grande distribuzione organizzata, appunto. Ecco perché tutti quei calcoli su esigenze così intime: «È solo un’indicazione di massima per organizzare al meglio il lavoro e niente più», fanno sapere dall’azienda all’agenzia Adnkronos. Di qui l’indicazione dettagliata sulle pause «fisiologiche» (ben diverse dalle pericolose interruzioni «patologiche»), che «possono essere effettuate nei limiti della normalità», cioè «mediamente una volta in un turno di quattro-cinque ore». E se uno è fuori media che fa?

Ora i dirigenti della catena garantiscono «massima elasticità», ma quel calcolo, quel numero così preciso è un incubo. La cassiera è abituata alla velocità, ai turni, al nastro che scorre senza sosta, alla marea dei clienti: insomma non è che non conosca i pregi di una certa rigidità, quella che serve per non inceppare il meccanismo, non è che non sappia quanto è importante l’ingranaggio. Però forse il cronometro della pipì non se l’aspettava.

Di fronte a tanta solerzia, le domande sono molte: misurare perfino le puntate al bagno è un’invasione della privacy?, è un eccesso di burocrazia?, è davvero, la pipì, un fattore di turbamento sul lavoro, in grado di scombussolare un’intera organizzazione? Perché se così fosse, quella pausa fisiologica, anzi patologica potrebbe tramutarsi in una fonte di senso di colpa, una rotella impazzita che mette in crisi la perfezione del sistema.

Il direttore risorse umane di Carrefour Italia Francesco Quattrone cerca di spiegare le necessità, le difficoltà di gestire una macchina così complessa: «Voglio chiarire che questa materia delle pause è stata affrontata solo da un punto di vista organizzativo. Bisogna tenere conto che ci troviamo a gestire circa 6 mila cassiere per circa 400 punti vendita, e c’è la necessità di far funzionare al meglio la macchina. Senza intoppi». Però la faccenda non dev’essere vissuta come una minaccia, una specie di Grande fratello dei bisognini: «Naturalmente non stiamo a contare quante volte un dipendente va in bagno. Assolutamente no, voglio sottolinearlo bene». Sospiro di sollievo. Ma allora perché la circolare? «Queste sono solo linee guida, una sorta di raccomandazione, per cercare di regolare le pause ed evitare un abuso delle stesse. Bisogna considerare che l’aspetto organizzativo per le aziende della grande distribuzione è fondamentale».

Gli abusi, per carità. Ma la pausa pipì è paragonabile a quella per la sigaretta o per il caffè? Un’esperta come Alessandra Graziottin, direttore del centro di Ginecologia del San Raffaele di Milano dice di no: «Anche se è solo una raccomandazione, la trovo invasiva.

Tra l’altro la frequenza delle visite in bagno, anche per una persona che non soffre di particolari patologie, dipende da tanti fattori». Insomma bisogna rassegnarsi: anche la fisiologia ha i suoi tempi. E il cronometro potrebbe non bastare a frenarla.

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