Che folla su quel treno partito cento anni fa

In quattro anni i passeggeri dei treni storici italiani sono più che decuplicati

Che folla su quel treno partito cento anni fa

In quattro anni i passeggeri dei treni storici italiani sono più che decuplicati: un tempo erano solo pochi appassionati pieni di nostalgia, oggi ci sono famiglie con bambini, amanti della natura, del silenzio, dei ritmi lenti e rassicuranti del passato. È cresciuto e si è evoluto il pubblico, ma soprattutto sono molto più numerosi i percorsi offerti, che coprono ormai molte regioni e che spesso abbinano al treno attrazioni locali: i mercatini di Natale, la stagione dei funghi, le visite alle cantine, tutti pretesti per un viaggio sulle panche di un vecchio vagone.

I numeri sono eloquenti: nel 2013 i viaggiatori del tempo andato erano 6mila, quest'anno sono stati 70mila. Il 2013 è l'anno in cui è stata creata la Fondazione Fs che, grazie allo slancio del suo direttore Luigi Cantamessa, ha dato impulso a questo universo seminascosto. Un passaggio importante è dell'agosto 2017: una legge dello Stato ha riconosciuto ufficialmente come ferrovie a vocazione turistica 3mila chilometri di binari. Sempre nel 2017 il numero dei viaggi su treni storici ha raggiunto quota 765 e in tre anni la Fondazione ha riaperto 600 chilometri di ferrovie dismesse, una decina di linee, e l'obiettivo è di raddoppiarli a breve. Il 40% del «nuovo» pubblico è costituito da stranieri, con forti motivazioni ambientali e che vogliono portare con sé la bicicletta: per questo si stanno trasformando i vecchi carri postali, che, privati dei sacchi di lettere e cartoline, torneranno anche loro a «vivere» con una funzione più attuale. Tutto corre su tratte «belle e sfortunate» come le chiama Cantamessa, «ferrovie che viaggiano nel nulla, chiuse perchè non intercettavano né porti né grandi stazioni, abbandonate dai flussi di traffico». Non collegavano con linee dritte città importanti, ma viaggiavano sui costoni delle montagne, su ponti in pietra, a zig zag per toccare qualche borgo, avvitandosi in scenografiche strutture elicoidali. Erano treni lenti e per questo condannati ed espulsi dal sistema dei trasporti, oggi sono diventati un richiamo, delle attrazioni panoramiche, grazie ai paesaggi risparmiati dal cemento nella più bella e nascosta provincia italiana.

«La nostra è un'operazione-Paese», rivendica Cantamessa, «perchè ha un effetto economico positivo su territori disertati dalla massa, ha salvato binari in estinzione e risolto un problema di bonifiche. Le linee abbandonate dovevano essere rimosse: noi le abbiamo riportate in vita. È stata una soluzione morbida all'eterno problema dei rami secchi delle Fs, un tema che si è manifestato alla fine degli anni Cinquanta quando è esploso il traffico automobilistico privato. La concezione ottocentesca di collegare i singoli borghi, con tempi di percorrenza lunghi, non aveva più futuro».

A volte la rinascita delle vecchie linee ha avuto effetti quasi miracolosi. Un esempio tra i tanti: la Avellino-Rocchetta Sant'Antonio, in Irpinia, inaugurata nel 1895, tutta ponti curve e controcurve: nel 2010, l'ultimo anno di servizio, ha trasportato 6mila passeggeri; riaperta, solo in parte, nel 2016, in sette giorni ne ha totalizzati 4mila. Non aveva futuro nemmeno la Sulmona-Isernia, in Abruzzo: «oggi accoglie a ogni viaggio centinaia di turisti che arrivano in auto da Roma, parcheggiano a Sulmona e salgono su quella che è chiamata la Transiberiana d'Italia, la più fortunata e più bella assicura Cantamessa - tra le ferrovie riattivate, una delle più straordinarie del mondo». Da Sulmona, la città dei confetti, a 350 metri sul livello del mare, in meno di 20 chilometri arriva a 1.000 metri, con una salita spettacolare, lungo il costone della montagna, con un susseguirsi di zig-zag, attraversando una varietà di paesaggi, di climi in qualche modo paragonabile, appunto, alla Mosca-Vladivostock. Dalle radure del Molise, passando per boschi di tigli e di latifoglie, si toccano i 1.300 metri di Rivisondoli: «È il nostro Gran Canyon completamente vergine a un'ora e mezza da Roma, e non lo sa nessuno». L'utima linea nata (meglio, riattivata) è la Sacile-Gemona, in Friuli, riaperta il 10 dicembre per volontà della Regione, insieme a Fondazione e a Rfi, la società che gestisce la rete ferroviaria.

Dall'atto della sua costituzione, nel 2013, la Fondazione FS è proprietaria di circa 350 mezzi: 40 locomotive a vapore, 40 littorine, 180 carrozze, 40 locomotive elettriche, carri merci, veicoli tecnici. Una flotta che descrive l'evoluzione culturale del treno; il mezzo più vecchio ha poco più di cent'anni (il materiale usato in precedenza è andato distrutto), il mezzo più recente è degli anni Settanta. Un patrimonio conservato nei due musei nazionali ferroviari, a Pietrarsa (a pochi chilometri da Napoli, appena restaurato) e a Trieste, ma che si appoggia anche a una serie di officine-museo in tutta Italia, dove i treni vengono allestiti per le gite. I centri di eccellenza sono a Milano Centrale, nella vecchia officina delle carrozze, e a Pistoia. Qui si riparano le caldaie delle locomotive a vapore, e gli addetti sono tutti giovani che hanno imparato un mestiere condannato a scomparire e che sono stati assunti dalla Fondazione; ragazzi di vent'anni alle prese con caldaie di un secolo.

I convogli storici possono trasportare da un minimo di 50 a un massimo di 500 persone, possono essere gestiti direttamente dalla Fondazione oppure affittati a una delle numerose associazioni sparse per tutta Italia, intorno alle quali gravitano almeno 500 volontari, che costruiscono di volta in volta i pacchetti turistici fatti di passeggiate, visite, ciaspolate sulla neve, vin brulè, formaggi locali. Per ora tutto si svolge di domenica e nei giorni festivi, ma l'obbiettivo è di proporre anche il pernottamento. Cantamessa sogna di recuperare le stazioni dismesse e i fabbricati merci dell'Ottocento, con travi in legno, mattoni decorativi, portali in pietra, per farli diventare piccoli alberghi al servizio di un turismo raffinato e consapevole.

La velocità dei treni, avvolti nelle loro nuvole di vapore, traballanti e fischiettanti, fa sorridere: al massimo si arriva a 50 chilometri all'ora. E la riscoperta del passato passa anche dai dettagli delle carrozze: a cominciare dai finestrini che si abbassano, un elemento un tempo ovvio ma oggi sorprendente in tempi di velocità e di standard di climatizzazione.

Il personale veste, nelle occasioni speciali, le vecchie divise color carta da zucchero che le Ferrovie compravano, con gigantesche economie di scala, insieme alle Poste. I macchinisti invece hanno tutti la divisa nera degli anni Cinquanta. Nera come il carbone delle locomotive.

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