da Milano
«Quel bastardo deve morire». Senza alcun timore di essere intercettata, Giuseppina Casale parla al telefono. Il progetto di sequestrare lex marito Giovanni Cottone, 49 anni, imprenditore palermitano ex socio di Paolo Berlusconi, viene discusso nei dettagli.
E quel che emerge dalle conversazioni ascoltate dagli investigatori sono lodio e il rancore nei confronti di un uomo che aveva allontanato la cerchia familiare dai propri affari. Lex moglie, innanzitutto, insoddisfatta del vitalizio da 10mila euro al mese giratogli dallimprenditore, ma anche lo zio della vittima, Antonino Cottone (72 anni), che otto anni fa il nipote aveva estromesso dal proprio «impero». E, sullo sfondo, un bottino da 75 milioni di euro. Denaro che la donna era convinta lex marito avesse sottratto proprio a Paolo Berlusconi (di cui era stato socio in Solari.com).
Un sequestro mancato, sfumato solo grazie al blitz delle Fiamme gialle che lunedì hanno eseguito il fermo - oltre che della Casale e di Antonino Cottone - anche di Giuseppe Sanese (36 anni), buttafuori di una discoteca milanese, e Alfredo Li Pira (40 anni), poliziotto palermitano, in servizio alla questura con mansioni di vigilanza. Una scena descritta dal legale di Giovanni Cottone, lavvocato Jacopo Pensa. «Cottone stava bevendo un caffè col suo commercialista, quando sei uomini in borghese, rivelatisi poi agenti del Gico di Palermo e Milano, lo hanno portato via, senza dire una parola. Il commercialista di Cottone si è spaventato e mi ha telefonato dicendomi che Cottone era stato arrestato. Per 5 ore, sono rimasto al buio, senza nessuna notizia dellimprenditore».
Linchiesta della procura di Milano nasce da unindagine avviata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo su un traffico di droga gestito da alcuni affiliati alla cosca mafiosa di Brancaccio. Uno di loro - secondo gli inquirenti - aveva una relazione sentimentale con Giuseppina Casale. E la donna, al telefono, gli aveva confidato il piano: rapire lex marito a pochi passi dalla sua abitazione, trasportarlo in un covo a Palermo, per poi costringerlo a trasferire i propri beni su conti a lei intestati e ucciderlo.
Perché lassegno di mantenimento da 10mila euro al mese che riceveva da Giovanni Cottone (dal quale aveva avuto un figlio) non le bastava. Né le era sufficiente lappartamento in centro a Milano. La donna, infatti, era convinta di poter ambire a qualcosa di molto più consistente: soldi (e un milione di euro era immediatamente «disponibile» al trasferimento), immobili e quei 75 milioni. Un tesoro per il quale la banda era disposta a uccidere. Nelle telefonate, infatti, gli indagati fanno esplicito riferimento al destino di Giovanni Cottone. Dopo il sequestro e il trasferimento in Sicilia, avrebbero sottoposto limprenditore a tortura.
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