La Corte dei Conti svela il lato oscuro delle privatizzazioni

Acqua e energia, autostrade e banche: dopo la privatizzazione le ex aziende pubbliche hanno aumentato la capacità di generare profitti. Ma è un effetto legato più agli aumenti delle tariffe, le più alte in Europa, che non al recupero di efficienza. È l'analisi della Corte dei Conti che lancia un monito anche guardando al futuro: con le prossime privatizzazioni, a partire da Tirrenia e Fincantieri, e poi più avanti quando sarà il turno di Poste, Poligrafico, e Sace, bisogna evitare di ricadere nel modello Alitalia: costi altissimi per i contribuenti e obiettivi incerti.
Il governo - spiegano i magistrati contabili nel rapporto su «obiettivi e risultati delle operazioni di privatizzazione di partecipazioni pubbliche» - dovrebbe definire «una strategia aggiornata di medio termine» e superare così «incertezze e contraddizioni». Va poi messo ordine nelle forme con cui lo Stato garantisce la presenza pubblica nei settori strategici, dalla Golden Share a privatizzazioni solo formali: servono nuovi strumenti ed è necessario fare chiarezza sul ruolo della Cassa Depositi e Prestiti (e della presenza delle Fondazioni bancarie nel suo azionariato) e di Fintecna. In Italia le privatizzazioni sono un processo di «portata storica», rileva la Corte dei Conti, anche per gli incassi secondi solo al Giappone, sia considerando come punto di partenza la delibera Cipe di fine 1992 (ad oggi 93 operazioni per 119 miliardi) sia guardando al censimento del «barometro delle privatizzazioni» per il periodo 1985-2007 (152 miliardi).
Alti anche i costi delle procedure, «calcolabili in circa 2,2 miliardi», peraltro con incongruenze nelle contabilizzazioni (depositi in ritardo per esigenze di liquidità o di gestione del debito). Nelle modalità scelte per dismettere le partecipazioni pubbliche la Corte rileva quindi «una serie di importanti criticità», dagli alti costi a casi di «scarsa trasparenza». Il nodo tariffe: l'analisi si sofferma sulle utilities, come per i servizi delle ex municipalizzate, e aggiunge che il giudizio può essere esteso a autostrade e costi dei servizi bancari. «L'aumento della profittabilità delle imprese regolate è in larga parte dovuto più che a recuperi di efficienza sul lato dei costi all'aumento delle tariffe che, infatti, risultano notevolmente più elevate di quelle richieste agli utenti degli altri paesi europei». E «senza che i dati disponibili forniscano conclusioni univoche sulla effettiva funzionalità di tali aumenti alla promozione delle politiche di investimento delle società privatizzate». Non sarebbe quindi dimostrata una correlazione tra aumenti tariffari e piani di investimento per migliorare servizi e infrastrutture. Tesi, replica Autostrade per l'Italia - che non si può applicare alla principale concessionaria autostradale italiana che dal momento della privatizzazione registra «una crescita delle tariffe in linea con l'inflazione, investimenti quadruplicati, costante riduzione dei costi».


Più in generale, i rilievi della Corte dei Conti trovano immediata eco nelle proteste delle associazioni di consumatori: per Adusbef e Federconsumatori confermano un «sistematico saccheggio» ai danni degli utenti che avrebbe contribuito a sfilare dalle tasche dei consumatori «ben 9.270 euro di rincari a famiglia, per oltre 170 miliardi di euro».

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