Cronaca di un capolavoro. Sarebbe la dicitura da affiancare a Operazione Gramsci. Alla conquista degli intellettuali nell’Italia del dopoguerra, saggio firmato da Francesca Chiarotto in libreria per Bruno Mondadori (pagg. 233, euro 20). In realtà, un manuale sull’arte di costruire un’egemonia culturale, che diventa negativo fotografico dell’oggi. Il capolavoro, tecnicamente s’intende, fu quello del Pci nell’immediato dopoguerra, e soprattutto di un uomo che concentrava in sé l’azione e il pensiero del partito, Palmiro Togliatti (alla faccia della sinistra perbene d’oggidì, che strilla per le derive leaderistiche altrui).
È un’operazione rigorosa scandita a tappe, ma il cui esito era già scritto nelle premesse. Il baricentro è il recupero degli scritti di Gramsci, morto nel 1937 dopo un decennio nelle prigioni fasciste, e la loro presentazione al pubblico come un classico della cultura. Togliatti mira così alla mitizzazione di un padre nobile che garantisca le due direttrici che gli interessano. Il rafforzamento dell’idea che esista una «via italiana» al comunismo, specifica ma ovviamente non contraddittoria rispetto all’ortodossia sovietica. E la capacità di attirare nell'orbita ideologica del Pci tutta l’intellighenzia variamente di sinistra, facendo della discussione sul pensiero di Gramsci un grimaldello di penetrazione intellettuale, extra-politico, e dunque più tranquillizzante. Fatto del gramscianeismo l’abc del discorso culturale, si può saldare attorno ad esso tutto un sistema, mondano e popolare allo stesso tempo, sparso in case editrici, convegni, premi letterari, biblioteche, Case del Popolo, periodici, che avrebbe assicurato il miracolo. Rendere il Pci, perdente nell’urna, dominante nella cultura diffusa.
Operazione che non solo riuscì, ma che trascina i suoi effetti fino a oggi. Togliatti ne aveva talmente chiara la decisività, che già il 3 marzo 1943, in piena guerra, sollecitava il segretario generale del Comintern, Dimitrov, a «recuperare il lavoro del compagno Gramsci in prigione, di cui forse tra breve avremo bisogno per l’immediata utilizzazione nel Paese». Gli originali riposavano nell’allora alla sede del Comintern, e da lì arrivarono direttamente a Togliatti. Per il Migliore, l’operazione Gramsci è una priorità, tanto che già nel maggio 1945 sistema quello che per lui era un tassello fondamentale. Accordarsi per la pubblicazione con una casa editrice prestigiosa e non di partito, ma contigua idealmente al partito: Einaudi. Il materiale da pubblicare era sterminato, e Togliatti puntò in primis sulle Lettere dal carcere, non sui Quaderni, per iniziare a scolpire l’icona nei suoi tratti esistenziali, fin psicologici, e agevolare così l’interesse del mondo non strettamente marxista. Incastrare Gramsci nel Gotha della neonata democrazia, questo era l’imperativo. E non si tralasciò nulla, come l’assegnazione del prestigioso Premio Viareggio del 1947 (decennale della morte di Gramsci) proprio alle Lettere, nonostante l’irritualità del riconoscimento postumo. Fu l’instancabile tessitura di un membro della giuria, il latinista - e comunistissimo - Concetto Marchesi, oggi diremmo la sua operazione di lobbing editoriale, ad ottenere l’unanimità sul nome di Gramsci. Tre anni dopo, si arrivò alla nascita della Fondazione Gramsci, che per consegna togliattiana doveva divenire un centro di irradiazione culturale del marxismo-leninismo nel nostro Paese. Non solo il cervello che forniva l’educazione dei quadri di partito, ma anche un nuovo, potente polo di elaborazione culturale nazionale, confermando il doppio binario con cui Togliatti ha declinato tutta l’operazione Gramsci: consolidamento dell’ortodossia interna ed espansione verso l’esterno dell’influenza intellettuale del Pci.
Fu questo, in fondo, il capolavoro: orientare gran parte dell’intellighenzia italiana sul gramscianesimo, e sul gramscianesimo ritagliato sulle esigenze del Pci. È il capolavoro che non è mai riuscito alla destra, e che non riesce oggi ai liberali, nonostante siano ormai maggioranza alle urne. Al coro interno di obiezioni, per cui per fortuna la destra è troppo individualista e i liberali sono troppo poco ideologici per fare una loro operazione Gramsci, sfugge una distinzione elementare. Non è affatto detto, che un’egemonia culturale nell’anno 2011 vada costruita con gli schemi praticati da Togliatti e compagni. Soprattutto, nessuno lo auspica.
Ma un conto è il contenuto, marcio alla radice, della fu egemonia comunista. Altro è il tentativo in sé di accompagnare la propria azione con un’impalcatura culturale degna e non subalterna, anzi propositiva, che dovrebbe caratterizzare ogni grande partito. Dovrebbe, o deve?
entrando nella scuola, con il 6 politico ed i pestaggi agli insegnanti che bocciavano i "proletari".
Dopo aver preso il famoso pezzo di carta ad assicurare il lavoro al "proletario" neolaureato era sempre la scuola: non a caso una delle peggiori del mondo la scuola italiano peró garantisce il mantenimento di una gran quantitá di insegnanti di sinistra, poco motivati e capaci ma con il posto garantito a spese del contribuente, che. in cambio indottrinano i futuri no global e zittiscono il dissenso (colleghi non di sinistra) con molestie e mobbing.
Provi ad inoltrare qualche scritto o romanzo o quello che vuole culturalmente di destra e vedrà la (non) risposta. Se Pansa viene preso a bastonate può facilmente comprendere la voglia di supportare prodotti di destra. Per quanto mi riguarda leggo di tutto tranne coloro che sono offensivi. In pratica leggo/vedo per l'80% autori stranieri (sanno scrivere/creare molto meglio).
Purtroppo in Italia l'innovazione è finita alla fine dei '70 da quando si è imposto il modello delle sovvenzioni a tutti (con tessera ovvio) invece del modello "a supporto" della bravura. Per quanto riguarda il potere economico e mediatico preferisco lasciarla alle sue convinzioni. Saluti.
E mi dica: un intellettuale come lei non si sente a disagio a farsi rappresentare da Di Pietro, Donadi o Belisario? O da Scilipoti, che era dei vostri?
Purtroppo Bondi ha messo ai vertici dei Beni Culturali ex sessantottini - come Carandini e Greco - che hanno un passato di lettura ideologica e di persecuzione degli studiosi non allineati. Quindi per un paradosso incredibile e' proprio il governo Berlusconi che perpetua l'egemonia di "intellettuali" che ormai non hanno nulla da dire.
e la democrazia dove la mettiamo?
Volete rispettare chi democraticamente è stato eletto?
Accodatevi e fate la minoranza, prego!
invece di dire sempre..la cultura è di sinista...doveva e dovrebbe farlo ora,investire in persone e capitali in:case editrici,case cinematografiche,eventi espositivi,aiuto ali artisti sia finanziari che in assistenza alla divulgazione delle loro opere,creare eventi artistici nazionali e valorizzare di piu' gli artisti italiani,in Birnnali,triennali,e creare nuovi musei nazionali per l'arte contemporanea.distinti saluti
Detto ciò, penso che Salluti faccia una ricostruzione molto parziale e lacunosa della storia recente della cultura italiana. In primo luogo, si dimentica di un altro tipo di egemonia: quella cattolica. L'egemonia culturale cattolica, ben più antica e radicata di quella comunista, è ancora molto forte e presente nel tessuto dell'intellighenzia italiana (insegnanti, politici, accademici). L'influenza culturale cattolica è evidente anche nel corpo elettorale italiano, il quale sin dagli anni '50 (e almeno fino agli anni '70) ha visto il predominio del partito democristiano. Di quale egemonia culturale di sinistra si può parlare in Italia? In secondo luogo, penso che una cultura di destra sia possibile, ma non con il berlusconismo, il quale si fonda sul culto della persona, tipico delle dittature.
"È il capolavoro che non è mai riuscito alla destra, e che non riesce oggi ai liberali, nonostante siano ormai maggioranza alle urne. " - quando mai i comunisti furono maggiornaza alle urne ? Se sa qualcosa lo dica chiarmanete. Non è che la storia dei conventi di suore poi si è rivelata vera ?
Soddisfatto ? Lei chi vota ?
entrando nella scuola, con il 6 politico ed i pestaggi agli insegnanti che bocciavano i "proletari".
Dopo aver preso il famoso pezzo di carta ad assicurare il lavoro al "proletario" neolaureato era sempre la scuola: non a caso una delle peggiori del mondo la scuola italiano peró garantisce il mantenimento di una gran quantitá di insegnanti di sinistra, poco motivati e capaci ma con il posto garantito a spese del contribuente, che. in cambio indottrinano i futuri no global e zittiscono il dissenso (colleghi non di sinistra) con molestie e mobbing.