Cosa succede se lo Stato ha strumenti da Grande Fratello e, sulla base delle informazioni raccolte può disporre come crede dei beni dei cittadini, anche tradendo e rinnegando le proprie stesse leggi? Ma vogliamo davvero vivere in uno Stato dove la privacy non esiste più, dove ogni nostro comportamento, ogni nostra spesa, ogni nostra telefonata o dialogo possono essere registrati e gestiti da occhiuti personaggi liberi di farci i comodi loro? Facile dire: non ho nulla da nascondere, quindi per me il problema non si pone, ma in realtà presto potreste vedere che il problema si potrebbe porre eccome, per tutti.
L’intervista del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, sul «Corriere» di ieri era a tal proposito emblematica. Il presidente di Equitalia si compiaceva nell’avere «finalmente» a disposizione un arsenale di controlli degno della Berlino comunista, poi, alla timida domanda di Massimo Mucchetti che, evidentemente affascinato lo intervistava, chiedendo se vi erano situazioni analoghe all’estero ecco la risposta geniale: «No, ma il tasso di liberalismo si confronta con l’osservanza della legge». Ecco, e se ribaltassimo la questione? E se per una volta si confrontassero con gli altri Paesi le leggi e la pressione fiscale per vedere se esse sono tollerabili e compatibili con l’attività economica? E con che coraggio poi si parla di osservanza delle leggi quando lo Stato stesso tradisce le proprie con un’assurda tassa su capitali oggetto di legale rimpatrio?
Il corto circuito sta tutto in queste tre notizie sparse, rintracciabili sui giornali di ieri: «Equitalia vede tutto e sa tutto», «I soldi vanno presi dove ci sono», «Fuga dall’Italia, molte famiglie chiedono il trasferimento in Svizzera». Ovvio, logico, consequenziale e distruttivo, indipendente dall’evasione o dall’onestà del cittadino. Se lo Stato dimostra di cambiare a piacimento le sue proprie leggi, domani potrei ricevere una multa per essere passato a 120kmh all’ora sotto un occhiuto «tutor» perché ex post si è deciso che i veloci devono pagare, anche se al momento il limite era superiore. Con la sempre valida scusa dell’emergenza (perenne) e dell’equità (soggettiva) ecco che anche al prossimo decreto le tasse e le confische potrebbero abbattersi su qualsiasi ricchezza, anche la più onesta con la certezza di colpirla.
Gli strumenti non mancano: 1) accesso illimitato e totale dell’Agenzia delle Entrate ai conti correnti bancari; 2) abolizione di fatto del contante ed imposizione della moneta elettronica anche ai pensionati; 3) trasparenza totale per il fisco degli elenchi e dei registri dei mezzi di trasporto privati; 4) notifica diretta da parte delle banche all’Agenzia delle Entrate di ogni movimento superiore alla cifra minima; 5) redditometro; 6) obbligo per i negozianti di segnalare il nome di ogni acquirente di qualsiasi cosa di valore superiore a 3mila euro (in vigore dall’ottobre 2011); 7) il micidiale accertamento «impoesattivo» che rende la cartella di Equitalia immediatamente esecutiva e obbliga al pagamento istantaneo di un terzo dell’importo preteso anche in caso di ricorso in commissione tributaria, in poche parole si deve pagare anche in caso di «cartella pazza», sperando che non chiedano a caso qualche milione. In breve: lo Stato può arrivare ovunque, tranne all’estero, dove i veri maxi evasori hanno già da tempo trasferito holding, ricchezze, barche ed aerei, senza mai aderire ad alcuna sanatoria o accertamento e ora ridono degli illusi rimasti.
Logica avrebbe voluto che l’arsenale fiscale fosse abbinato ad una riduzione delle super aliquote, finora congegnate per far pagare agli onesti il «buco» degli evasori. Il conto è presto fatto: l’attuale pressione fiscale è quasi al 50% se, secondo Befera, l’evasione è pari al 10% del pil la fiscalità «imposta» è pari al 60 per cento. Intollerabile.
Nessuna riduzione, si è anzi sferrato un attacco al patrimonio, con nuove tasse su risparmi, auto, e case.
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