Così l'Inghilterra tracciò la mappa del mondo

«I ragazzi di Barrow» racconta gli anni ruggenti degli esploratori della Royal Navy

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Davide Brullo

In fondo, all'Inghilterra non è mai interessato dell'Europa; il «Continente» è sempre stato troppo stretto e troppo provinciale rispetto alla qualità immaginaria d'Albione. Questa storia comincia a Londra, Whitehall, al primo piano dell'Admiralty House, «il centro nevralgico della più grande e potente flotta al mondo». Una specie di «ombelico del mondo» dove si strologava di nuove, intrepide colonizzazioni. La sala è ingentilita da un paio di mappamondi e da una serie di carte geografiche appese alle pareti. Al tipo seduto sul tavolo Sheraton di mogano, «ricoperto di marocchino verde chiaro», c'è una cosa che proprio non va giù. Quelle mappe hanno troppe toppe bianche. Ci sono troppe zone ignote, mai toccate dal razionalissimo piedino inglese. Esattamente duecento anni fa, John Barrow, «generalmente considerato il padre dell'esplorazione polare, ma di fatto il padre dell'esplorazione globale», che si vantava di essere stato l'ultimo funzionario a parlare con Nelson prima di Trafalgar, decise che parte della flotta inglese, «specie in un periodo di pace duratura come questo», avrebbe dovuto essere impiegata «a definire i particolari della scienza geografica e idrografica». Cominciò con l'inviare il capitano James Kingston Tuckey sul fiume Congo. L'impresa (un tonante incipit al Cuore di tenebra di Joseph Conrad) si rivelò disastrosa: gli inglesi pensavano di sollazzarsi «con le Veneri color cioccolato» sotto il «sole equatoriale, vestiti praticamente di nulla», immaginando l'Africa oscura come una specie di Woodstock ante litteram. Furono falciati dalle febbri e dalla malaria.

Nell'epoca di Google Earth è uno spasso leggersi il libro di Fergus Fleming, ottimo divulgatore che s'inabissa in picaresche ricerche d'archivio, I ragazzi di Barrow (Adelphi, pagg. 542, euro 35, traduzione di Matteo Codignola). Il compito di Fleming, intanto, è quello di esaltare la figura magmatica di John Barrow, un personaggio che pare uscito dalla lampada narrativa di un Isaac B. Singer: «studiò matematica e astronomia con un misterioso saggio, si impiegò come contabile in una fonderia locale, trascorse un'estate a caccia di balene al largo di Spitsbergen, lavorò come assistente del regio astronomo di Greenwich, e infine, a vent'anni, divenne il tutore di un bambino prodigio, Thomas Staunton, che parlava cinque lingue e dal quale Barrow apprese i rudimenti del cinese...». Tenace vagabondo, Barrow se ne va prima in Sudafrica poi scrive un libro sulla Cina, infine, pur capendo poco di geografia (i suoi pallini erano il mitico «Passaggio a nord-ovest» e la presa di Timbuctù), è quello che, tra il 1816 e il 1845, manda in giro per il globo i sudditi di Sua Maestà, a illuminare l'ignoto.

Ne viene fuori un libro di estiva fragranza, che si legge meglio dei romanzi «da ombrellone». Fleming evoca figure pittoresche, come la maitresse araba Lilla Fatima («gigantesca vedova di un signore locale, con le caviglie grosse come le cosce di un uomo»), o come John Franklin, il «gigante rubizzo e buono», «affetto da una timidezza patologica», che fece avanti indietro per l'Oceano Artico un mucchio di volte e che infine, nel 1847, «scomparirà nel nulla, con tutti i suoi uomini». Fleming ci insegna che gl'inglesi non erano ingenui né sognatori: si trattava d'impegnare in missioni al limite del paradossale le milizie navali a contratto, altrimenti anestetizzate nei porti londinesi. Eppure, «eravamo in pieno Romanticismo, e guglie di ghiaccio, mari in tempesta e tribù di misteriosi selvaggi sembravano molto più interessanti delle aride prospettive dei Lumi». Troppo spesso gli afrori romantici sono il preludio del disastro: Alexander Gordon Laing, il primo europeo ad approdare a Timbuctù, sperava di essere abbagliato da una El Dorado d'Africa. Al contrario, quella era «una città di frontiera povera, pericolosa e senza legge». Lo scozzese Laing fu ucciso da una banda di Tuareg.

«Mio marito si è offerto di partecipare alla vostra missione, obbedendo

a un sogno», scrive a Barrow, piccata, la moglie dell'ammiraglio James Clark Ross, un altro che era ubriaco di Artico e di ghiacci. Ross, almeno, fece ritorno a casa. La moglie, dispiaciuta, lo lasciò per il suo avvocato.

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