Dick Swaab, neurobiologo dell'università di Amsterdam e fondatore della Banca olandese del cervello, dopo avere stabilito, nel suo primo libro, che Noi siamo il nostro cervello, ora si è spinto più in là, affermando che «siamo il nostro cervello creativo». Lo fa in un saggio intitolato, appunto, Il cervello creativo. Come l'uomo e il mondo si plasmano a vicenda (Castelvecchi).
Professor Swaab, perché parla di «cervello creativo»?
«Creatività è realizzare qualcosa di nuovo da elementi che già esistono. Così risolviamo i problemi e progrediamo nella tecnologia e nella scienza. Gli effetti della creatività hanno cambiato la nostra vita sotto ogni aspetto. Tutto ciò che vediamo intorno a noi - natura a parte - è il risultato della creatività. A sua volta, l'ambiente culturale che abbiamo creato influenza il nostro cervello e il nostro comportamento».
In che modo?
«La vecchia distinzione - è la natura o l'educazione? - è superata. Fin dall'inizio si tratta di una interazione fra il nostro patrimonio genetico e l'ambiente, anche se la proporzione varia a seconda delle attività».
Vale per tutto?
«Gran parte del nostro potenziale e dei nostri limiti ha una chiara base genetica. Per esempio il nostro QI, misurato da adulti, risulta per oltre l'80 per cento dovuto ai geni. Perciò è molto importante selezionare attentamente i propri genitori... Altre capacità, come la lingua madre, si sviluppano totalmente sotto l'influsso dell'ambiente. Nei due anni di addestramento, i tassisti di Londra aumentano l'ampiezza dell'ippocampo - il Gps del cervello - grazie a nuove connessioni: il lavoro cambia il nostro cervello».
Le dimensioni contano?
«Noi umani abbiamo più tessuto cerebrale extra, più di quello necessario per regolare i processi del nostro corpo. Una balena e un elefante hanno cervelli più grandi del nostro, ma hanno corpi enormi. I nostri cervelli, grandi e creativi, con i loro neuroni e le connessioni extra ci consentono di processare le informazioni più rapidamente delle altre specie, e di adattarci più rapidamente ai cambiamenti nell'ambiente».
Quando queste strutture si sono sviluppate nell'evoluzione?
«L'arte inizia con l'Homo sapiens 40mila anni fa. La bellezza nell'arte può essere vista, in termini evolutivi, come un indice di buoni geni. La musica favorisce la coerenza sociale e rende il gruppo più forte. Le marce stimolano il battito e la respirazione, preparandoci a combattere. Perciò le cornamuse marciavano alla testa delle truppe scozzesi quando dovevano fronteggiare gli inglesi».
Da allora abbiamo fatto molti progressi?
«Ci serviva un cervello grande - 1.500 grammi - per iniziare a produrre arte. Il cervello che abbiamo oggi alla nascita non è diverso da quello di 40mila anni fa: è l'apprendimento postnatale a fare la differenza».
Qual è la relazione fra creatività e malattia mentale?
«L'arte può essere usata per curare la malattia mentale; e questa può esercitare un effetto profondo sul lavoro dell'artista. Con l'Alzheimer gli oggetti appaiono sempre più distorti e semplificati. Per contro, nel lobo frontale-temporale possono svilupparsi disinibizione e maggiore creatività. L'epilessia del lobo temporale può accompagnarsi a una enorme produzione artistica - come in Van Gogh -, mentre i savant artisti e autistici possono avere una capacità eccezionale nel rappresentare gli oggetti in maniera realistica».
E i colori, come nel caso dell'Urlo, che Munch dipinse dopo un attacco di panico di fronte al tramonto rosso sangue sul fiordo?
«Hanno un effetto potente. Il rosso è il colore del pericolo o dell'eccitazione. O di entrambi, come nel caso di un rossetto rosso... Dal punto di vista evolutivo, può essere perché era il colore del frutto maturo: lo sfondo erano la foresta verde e il cielo blu, colori che rilassano».
Perché la «disinibizione» favorisce il nascere di nuove idee?
«Siamo esposti continuamente a un quantitativo enorme di informazioni. L'inibizione ci aiuta a concentrarci, altrimenti impazziremmo. Se inibiamo meno abbiamo più informazioni da cui trarre nuove idee».
C'è un legame fra depressione, malinconia e creatività?
«La depressione causa inibizione, e quindi meno creatività. L'ipomania si accompagna a forte disinibizione e, quindi, a grande creatività. Robert Schumann era maniaco depressivo. Ha prodotto una enorme quantità di opere quando era ipomaniaco, componendo giorno e notte, e pochissime da depresso».
L'arte è davvero terapeutica per le malattie mentali?
«Può esserlo, ma può anche causare problemi ulteriori. Noi riflettiamo le emozioni dei pittori: in una clinica psichiatrica, i dipinti di Van Gogh e Pollock hanno causato richieste spontanee dei pazienti per avere più medicinali contro l'ansia...».
Lei parla anche di arte astratta. Quali legami ha con il nostro cervello?
«Per l'arte astratta utilizziamo lo stesso sistema visivo a cui ricorriamo per le arti figurative, ma essa stimola la rete cerebrale di default. Questa riguarda il senso del sé ed è più attiva quando lasciamo che il pensiero fluttui liberamente. E, per chi la apprezza, la bellezza dell'arte astratta stimola il sistema di ricompensa, rilasciando dopamine: ed è questa sensazione di piacere che ci fa amare l'arte, da sempre».
C'è un'area del cervello che è la sede della creatività?
«La corteccia prefrontale e il talamo sono importanti, ma sono coinvolte molte aree, che interagiscono fra loro».
Se la struttura cerebrale determina il nostro talento, quanto contano l'esercizio e l'ambiente?
«Ogni cervello è diverso, unico, per via del patrimonio genetico e dei processi di sviluppo. In alcuni casi tutto ciò porta a strutture cerebrali particolarmente grandi o a connessioni estremamente efficienti: la base del talento. Servono entrambi, talento innato e lavoro duro».
Possiamo favorire lo sviluppo del nostro talento creativo?
«Per essere creativi abbiamo bisogno del giusto patrimonio genetico. La creatività aumenta con il QI, fino a un QI 120. Poi ci sono i fattori che la stimolano. Gli artisti spesso cercano di ampliare il filtro che seleziona le informazioni attraverso alcol, droghe o L-dopa».
Altri
metodi...?«Un ambiente diverso e multidisciplinare, nuove esperienze, un pensiero fuori dagli schemi... Nietzsche diceva che le uniche idee buone gli venivano camminando. E poi siamo più creativi quando siamo felici».
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