La guerra civile, ora, è interna al mondo partigiano. Può sembrare un piccolo episodio ma, a un giorno dalle celebrazioni del 25 aprile, mette a nudo una vecchia contrapposizione - partigiani comunisti che hanno egemonizzato la Liberazione, e partigiani non comunisti sempre rimasti ai margini - che si trascina tra infastiditi silenzi e malumori da 70 anni, e ogni tanto alza la testa. Come ha fatto ieri un «affezionato scaligero» milanese, Carlo Guidi, il quale ha firmato una lettera aperta al sovrintendente del Teatro alla Scala, Alexander Pereira, per esprimere il suo dissenso (e sembra di capire di molti altri frequentatori del Piermarini) da un clamoroso gesto. Ritenuto offensivo. Quale?
Avere concesso all'Anpi, l'Associazione nazionale partigiani, l'autorizzazione ad aprire all'interno del teatro una sezione «che si prefigge di promuovere e tutelare i valori della Costituzione». Di per sé, obiettivo nobilissimo. Ma - si chiede il firmatario della lettera, «nipote di partigiano e ugualmente nipote di un combattente della Repubblica sociale» - perché non limitarsi a un richiamo alla Resistenza da parte del Teatro alla Scala (dedicare per esempio una sala a un grande partigiano o promuovere un concerto per l'anniversario della Liberazione) e invece arrivare a coinvolgere l'istituzione scaligera in un sodalizio con un'associazione «che non rappresenta affatto tutti i partigiani d'Italia, ma solo una parte?».
«Da sempre l'Anpi è stata la succursale partitica del mito della Resistenza, ovvero quanto di più lontano dalla Liberazione: l'ha trasformata in un valore di partito e non di tutti gli italiani». «Trovo assai grave - è la conclusione della lettera, in cui chi firma promette di non assistere più ad alcuna rappresentazione nel periodo della direzione di Pereira - che un'associazione come l'Anpi, ancora purtroppo non del tutto scevra da logiche di partito e di contrapposizione ideologica, abbia messo un piede nel tempio sacro della musica milanese, dove la politica e lo spirito fazioso dovrebbero essere banditi». Augurandosi di non ritrovarsi «pugni chiusi e bandiere rosse dentro il Palco reale».
La Scala, insomma, è la casa di tutti i milanesi, non la sede di un partito.
E, se non bastasse, a rovinare la festa del 25 aprile, ecco scoppiare la polemica di giornata, rilanciata ieri dal Corriere del veneto. Il quotidiano ha raccontato di come giorni fa Deris Turri, del direttivo Anpi di Rovigo, sia finito nell'occhio del ciclone con accuse di simpatie per le Brigate rosse (alle quali - detto per inciso - i vecchi partigiani consegnarono molte armi e più di un'idea). E cos'ha fatto, il dirigente Anpi? Ha condiviso sulla sua pagina Facebook la frase «La rivoluzione è un fiore che non muore» accanto al volto di Prospero Gallinari, il brigatista rosso (morto nel 2013) condannato all'ergastolo per una serie di attentati, tra cui il rapimento di Aldo Moro: in totale fu esecutore diretto, con altri brigatisti, di otto omicidi. Titolo del post condiviso dall'esponente dell'Anpi? «Ciao Prospero».
Conseguenze: polemiche violente in Rete, richieste di scuse, tentativi di giustificazione («La mia unica colpa è essere da sempre un vero Antifascista») e, infine - probabilmente su pressione dell'Anpi stessa - dimissioni dall'incarico. Buon 25 aprile. A tutti.
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