Un Paese confuso e che confonde. Dopo 94 giorni, ecco finalmente i funerali di Pamela: si chiude una vicenda terribile che fotografa l'Italia di oggi. Non è vero, come hanno scritto tanti maître à penser, che l'Italia stia scivolando sul piano sempre più inclinato di un razzismo in formato Usa. Macerata come la provincia americana e i placidi abitanti di quelle terre in cui nacque Giacomo Leopardi come i farmer inferociti dell'Alabama che sparano ai neri da dietro a un covone. No, non va così. Tesi semplicistica, buona per i talk show, ma che non racconta il progressivo slabbramento di una civiltà millenaria, il mescolarsi come su un campo da rugby di troppe periferie e di troppe povertà, l'inaridirsi di sentimenti stratificati come le ere geologiche e la scoperta, quella sì sconvolgente, che la pietà si nasconde ormai sotto il risentimento.
Pamela Mastropietro è tutto quello che è successo: l'amara verità che un pezzo della comunità nigeriana è fuori controllo, come tante schegge del fenomeno migratorio; il raid scomposto e delirante di Luca Traini che colpisce nel mucchio. E poi la giustizia che si accartoccia per individuare i colpevoli del brutale omicidio e rischia di non mettere a fuoco le responsabilità personali, nel continuo rimpallo di ruoli e capi d'imputazione e moventi.
È un format che purtroppo conosciamo troppo bene e che disegna la forma di un labirinto: quello in cui si sta smarrendo, anche nella pancia dell'Italia lontana dalle metropoli, la grammatica minima di una secolare convivenza, il rispetto e quell'armonia incantata che hanno fatto la nostra storia. Il tutto su un fondale limaccioso di droga, criminalità, degrado e imbarbarimento scuri come la notte. Pamela, croce troppo giovane, vittima sacrificale di violenze bestiali, anche se le ricostruzioni ancora vacillano e sembrano tendere al neutro del politicamente corretto, simbolo infine di pesi spropositati, afasie della politica, ritardi del sistema giudiziario, ipocrisia di autorità che non chiamano le cose con il loro nome, non isolano i criminali, non chiudono i ghetti cresciuti come funghi velenosi ai margini delle nostre città, non prevengono le scorribande dei tanti Traini che vagano indisturbati come gli assalitori di Pamela. È un cortocircuito che dev'essere fermato. Senza slogan facili, ma con provvedimenti netti, non annegati nella lingua paludosa della burocrazia. E con una ripresa dello Stato, dei suoi meccanismi inceppati, della sua autorità sempre più zoppicante. Senza cedere infine alla solita, stucchevole retorica sul Far West che accompagna e anestetizza la colonna sonora di questi avvenimenti. In morte di una ragazza indifesa, diventata straniera in un Paese
non più suo.
Stefano Zurlo
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