Centri di cultura? No, moschee-garage

Ecco la mappa delle finte moschee a Roma con imam improvvisati e fedeli poco integrati

Centri di cultura? No, moschee-garage

Moschee o catacombe moderne? È questo l’interrogativo che nasce spontaneo visitando i “centri di cultura islamica” di Roma. È preoccupante veder nascere come funghi delle “finte moschee” proprio nella Capitale che ospita la più grande moschea d’Europa e per giunta nell’Anno del Giubileo.

Preoccupa ancor di più sapere che questi centri nascano e si diffondano col benestare delle istituzioni di sinistra, a causa soprattutto di un vuoto normativo a cui, come vedremo, il centrodestra vuole porre rimedio. Il problema è che in Italia soltanto la grande Moschea di Roma è riconosciuta come luogo di culto mentre tutte le altre ricevono l’autorizzazione ad aprire come associazioni culturali. Il più delle volte l’iniziativa parte dalla comunità bengalese, composta perlopiù da lavoratori poveri che prendono in affitto vecchi scantinati, garage o magazzini e li trasformano in centri di cultura islamica.

A piazza Vittorio, il cuore del quartiere multietnico Esquilino, il bengalese Dipo ha trasformato il suo negozio di casalinghi nella storica associazione piazza Vittorio che è sorta accanto a una Chiesa e di fronte a una stazione di polizia. Si tratta di un locale di 297 mq che il venerdì, giorno di preghiera, ospita varie centinaia di persone. “Gli iscritti all’associazione sono 275 ma c’è un continuo via vai e io registro tutti e ho un ottimo rapporto sia con la polizia con cui sono in stretto contatto, sia con il parroco qui accanto. Pensa che a Natale abbiamo fatto l’albero...” spiega soddisfatto Dipo che racconta anche di tenere dei corsi di italiano per stranieri per favorire l’integrazione. La maggior parte dei centri visitati, però, sono considerate anche dai fedeli soltanto delle moschee anche se, come spiega Dipo:“Moschea è dove si prega. Per me può essere questa associazione come casa mia, casa tua o anche la strada, non fa differenza. Se siamo in tre, chi conosce meglio il Corano fa l’imam e si prega”.

Un’interpretazione del concetto di moschea che, però, non convince l’ex parlamentare Souad Sbai, ora esponente di Noi con Salvini, che al giornale.it, dice: “Queste non sono associazioni, sono moschee fai da te. Le associazioni hanno uno statuto convalidato dal notaio e dalle persone fisiche che ricoprono il ruolo di presidente e tesoriere. In Marocco esiste una lista delle moschee e degli imam perché lo Stato vuole sapere chi è e dove ha studiato”. E, in effetti, anche nell’ultimo centro culturale aperto non più di due settimane fa alla presenza delle forze dell’ordine e delle istituzioni municipali (con l’assessore donna ospite con tanto di velo), in zona Monteverde, il personaggio che svolge il ruolo di imam è stato presentato come “maestro”. Anche in questo caso si è di fronte a un bilocale di 100 mq, con poche finestre e i muri ammuffiti, e che, in teoria, dovrebbe ospitare sui 70/80 fedeli. Anche qui, in bella vista, appena si entra, c’è tanto di cartello: “si entra solo con la tessera” e si spera che sia effettivamente così. Il timore, anche delle forze dell’ordine, è che in questi locali si possano infiltrare dei fondamentalisti tanto è vero che, come hanno confermato i responsabili, i due centri culturali che sono sorti vicino a via Candia, in zona San Pietro, ricevono spesso la visita della Digos. Il primo, nato tre anni e mezzo fa, è grande circa 200 mq. E il venerdì è frequentato da circa 130/150 persone. Come spiega il fondatore Emir, di origini curdo-turche, il controllo è massimo: “Noi siamo vicino al Vaticano e dobbiamo essere più attenti di altri perciò quando vediamo qualcuno che non conosciamo lo segnaliamo”.

Stesse precauzioni intende prendere anche il secondo centro di cultura islamico della zona che aprirà a breve per volontà della comunità bengalese del quartiere che da due anni cercava un locale e ora ha trovato riparo in un ex negozio di tappetti. Il responsabile Hussein spera di aprire entro 20 giorni ma, a un’occhiata attenta, il locale non sembra esattamente il più adatto a ospitare un luogo di culto. Problemi questi che si riscontrano in periferia, in quartieri come Centocelle e Torpignattara. Soprattutto in quest’ultimo la convivenza è molto difficile perché, come spiega Fabio Piattoni, esponente della lista Marchini, nel quartiere c’è un alto tasso di illegalità e questo non favorisce l’integrazione. “Basterebbe – dice Piattoni - usare le leggi già esistenti per impedire che queste persone siano stipate in posti non idonei dal punto di vista urbanistico. È ovvio che monti la rabbia tra i residenti con questo buonismo amministrativo e doppiopesismo tra musulmani che fanno di un garage una moschea e italiani che vengono multati per sciocchezze”.

Centocelle, invece, a sentire l’assessore all’intercultura del V municipio, Giulia Pietroletti, sembra vivere una convivenza migliore tra stranieri e residenti italiani. Qui a creare dibattito, negli ultimi mesi, è stata la notizia dell’acquisto, da parte di un Fondo del Qatar (di cui si sa ben poco), di una palazzina di tre piani dove dovrebbero traslocare i musulmani della moschea Al Huda di via dei Frassini.“Spero – dice la Petroletti - che l’apertura di una grande moschea possa aggregare anche le altre micro moschee, dove spesso si creano dei piccoli gruppi di potere locali, anche perché così li facciamo uscire dagli scantinati e gli diamo una dignità e per noi sarebbe più facile avere un’interlocuzione”. In realtà l’interlocuzione, almeno per noi de ilgiornale.it, è stata difficile anche con il presidente dell’associazione della moschea di Centocelle, Beh Moahmed Moahmed. È stato un peccato perché avremo voluto rassicurazioni sul fondo arabo che ha acquistato il nuovo edificio dato che, come ricorda Luca Airoli, consigliere municipale di Forza Italia, “quella moschea è una delle moschee più attenzionate d’Italia dalla Digos. Da lì è passato il terrorista che nel 2005 si è fatto esplodere nella metropolitana di Londra e neanche tre mesi fa uno si è fatto arrestare per aver detto in tivù che l’Isis aveva fatto bene a fare l’attentato a Parigi”.

Proprio per questi motivi, di sicurezza e non solo, Fabrizio Santori, consigliere regionale di Forza Italia, ha depositato una proposta di legge per limitare la proliferazione di questi luoghi abusivi e per consentirne la nascita solo nel rispetto dell’urbanistica e del decoro della zona in cui sorgono.

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