La crisi del Monte dei Paschi di Siena arriva da lontano, dagli anni in cui il Pci poi Pds e ora Pd, detenendone di fatto il controllo, la usava come banca di partito. Erano gli anni d'oro della finanza rossa, spregiudicata quanto se non di più di quella incolore dei grandi banchieri che hanno incarnato il capitalismo più spinto. Tanti affari, pochi controlli, tanto garantiva il partito. Oggi la banca vale solo seicento milioni e per salvarla servono cinque miliardi. Da mesi i vertici stanno cercando nuovi finanziatori ma invano. Ieri dalla Banca centrale è arrivato l'altolà: tempo scaduto, o qualcuno interviene subito o sarà fallimento. A questo punto quel qualcuno non può che essere lo Stato, con soldi nostri e non senza rischi per azionisti e obbligazionisti.
Destino ha voluto che il capolinea del Monte coincidesse con quello del governo guidato dal segretario del Pd, che rispetto al precipitare degli eventi non è esente da colpe. Aveva tutto il tempo per affrontare la questione, ma ha preferito spenderlo a fare comizi in giro per l'Italia per sostenere lo sciagurato referendum. Mesi di minacce e ricatti che hanno spaventato i possibili grandi investitori esteri, fuggiti a gambe levate da una guerra civile loro estranea.
Doveva e poteva fare prima il governo, invece che occuparsi di mance elettorali i cui effetti, già di per sé ridicoli, vengono oggi spazzati via dal costo di un salvataggio che finirà per pesare sulle tasche di tutti gli italiani. Altro che Renzi bis, questo premier è pericoloso: un anno fa il crac dell'Etruria, banca di famiglia, poi il pasticcio brutto della riforma delle banche popolari, oggi il Monte dei Paschi fuori controllo.
Se cede una casella del sistema bancario andiamo sull'orlo di una crisi sociale vera e profonda.
Ma ieri Renzi si è occupato solo della sua poltrona e del suo personale futuro, aprendo a Palazzo Chigi delle inedite e inusuali consultazioni parallele a quelle del Quirinale.Vorrebbe restare, le ha provate tutte ma è in difficoltà. Sta ripiegando su Gentiloni, attuale ministro degli Esteri, il più fidato dei suoi uomini. E dire che aveva giurato che si sarebbe ritirato a vita privata.
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