La bufala delle minacce mafiose. Quei pizzini se li sono fatti in casa

La Procura sui messaggi intimidatori contro la squadra di calcetto femminile di Locri: "La 'ndrangheta non c'entra niente". E spunta un sospetto: "Materiale autoprodotto..."

La bufala delle minacce mafiose. Quei pizzini se li sono fatti in casa

La Procura di Locri, che la criminalità organizzata sa riconoscerla bene, si è fatta un'idea precisa: «In questa storia mafia e 'ndrangheta non c'entrano nulla...». La «storia» è quella che, da giorni, sta riempiendo di melassa giornali e televisioni: resoconti piagnucolosi sui «pericoli di morte» cui sarebbero (mai come in questo caso il condizionale è d'obbligo) esposti presidente, giocatrici e dirigenti dello Sporting Locri, squadra di serie A femminile di calcio a cinque, sconosciuta fino a prima delle fantomatiche «intimidazioni»: le stesse presunte «intimidazioni» che oggi hanno reso lo Sporting Locri celebre almeno quanto il Catanzaro di Palanca.

Tutto è cominciato con il ritrovamento di misteriosi pizzini nell'auto del presidente dello Sporting, Ferdinando Armeni, con frasi oscure sui rischi che avrebbero potuto correre lui, le sue atlete e i dirigenti della società. Il presidente è sconvolto, anche perché uno dei «bigliettini maledetti» viene fatto trovare sul passeggino del figlio con una frase inquietante: «Sai chi siede in questo posto, vero?». Il presidente si spaventa, avverte le forze dell'ordine, gli viene pure assegnata la scorta. Ma lui ha ormai deciso: «Mi dimetto, non faccio più scendere in campo le ragazze e vendo la società». Intanto parte il battage sui media: «La 'ndrangheta minaccia di morte la squadra di calcetto femminile di Locri». Apriti cielo. I buonisti dell'antimafia in servizio attivo permanente si scatenano nel «manifestare solidarietà». Le donne parlamentari si «strigono», trasversalmente, attorno alle «eroiche» ragazze dello Sporting. Scendono in pista perfino i vertici della politica (destra, sinistra, centro) e dello sport, compreso quel genio di Tavecchio, il mitico presidente gaffeur della Figc. Dinanzi a questo tsunami di «amicizia e vicinanza», il presidente Armeni barcolla. Alla fine ci ripensa. E così l'altroieri le sue ragazze tornano regolarmente in campo a Locri davanti a un pubblico delle grandi occasioni. Per la cronaca perdono 3 a 2 contro la Lazio, ma la giornata è comunque di quelle memorabili.

Collegamenti televisivi, manco si trattasse della Nazionale di Conte: Diretta Rai Sport 1, servizi speciali per 90° minuto e La Domenica Sportiva. Abbracci, baci, applausi. Tribuna d'onore con le «massime autorità». Nessuno che però si sia posto una domanda semplice semplice: ma perché mai la criminalità organizzata dovrebbe avercela contro lo Sporting Locri. Che interessi mafiosi o 'ndranghetistici possono essere intaccati da una squadra femminile di calcetto? La risposta più semplice (ma anche verosimile) è: nessuno. E infatti due giudici seri come il procuratore di Locri, Luigi D'Alessio, e il pm Salvatore Cosentino che ha in carico il fascicolo sulla vicenda, sono categorici: «Se minacce ci sono state, non sono certo riconducibili alla criminalità organizzata». Una fonte giudiziaria contattata dal Giornale va addirittura oltre: «Potremmo trovarci dinanzi a una forma di autoproduzione di pizzini». Ma cosa significa «autoproduzione»? «Se ci riflette un po', ci arriva da solo...», replica la fonte. In altre parole ci sarebbe il fondato sospetto che quei messaggi possano essere stati scritti e fatti recapitare al presidente da personaggi comunque interni o vicini alla società Sporting Locri.

Oggi il presidente Armeni torna a dire che la settimana prossima la trasferta a Fasano è in forse: «Voglio vendere la società». Ma la cordata interessata a rilevare la società ha dato esito negativo. Il motivo? «Mancano documentazione completa ed una certa trasparenza». Già, la «trasparenza».

Vuoi vedere che dietro i minacciosi pizzini «autoprodotti» ci sono prosaiche ragioni di portafoglio di qualche dirigente (o ex dirigente) dello Sporting? Altro che mafia o 'ndrangheta. Ma attenzione a gridare «al lupo al lupo» quando il lupo non c'entra niente. Perché se poi il lupo appare davvero, si rischia di non riconoscerlo più.

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