Dietro il simpatico aspetto da nonno della nazione, si celava un uomo dalle unghie affilate. Quando doveva giudicare le vicende italiane, in particolare la politica, Camilleri lasciava da parte lo spirito analitico del detective per far uscire uno spirito da hooligan. Raffinato scrittore e grossolano commentatore, Camilleri si è sempre esposto dalla parte giusta, quella più conveniente per un intellettuale italiano. Lo ha fatto con piglio sicuro.
Nel 2008 ha pubblicato le Poesie incivili ispirate a Marziale, senza offesa per Marziale. Ecco qualche esempio: «Il ricco porco, eletto a capo dei suoi simili/ alle scrofe da lui montate ripagò il favore/ ammettendole al truogolo riservato a pochi/ a suoi legulei, ai suoi giornalisti, ai suoi boia/ grufolanti e grugnenti. I porci, com'è noto/ non sono bestie di fiuto fine. Rovistano nel letame/ vi si rotolano, vivono alla giornata. Non sospettano/ che un giorno saranno mutati in salsiccia». Una «raffinata» analisi in versi ispirati dall'odio per Silvio Berlusconi e i suoi elettori. Come questi altri: «A loro il linguaggio non si forma nel cervello, ma nel ventre/ e quindi non emettono fonemi, ma borborigmi, rutti, scoregge». Roba imbarazzante. Per carità, non ce l'abbiamo con Camilleri perché faceva satira su Berlusconi. Ben venga la satira su chiunque. Camilleri incarna piuttosto l'incapacità di capire gli avversari politici, la presunzione di essere migliori degli altri, lo scarso interesse per un mondo, quello estremamente variegato della destra, che andava al di là di Berlusconi.
Una destra sola conosceva Camilleri: il fascismo. Era infatti cresciuto nel Ventennio. Nato nel 1925, un anno dopo l'assassinio Matteotti, era adolescente quando furono approvate le leggi razziali. Durante la guerra civile era maggiorenne. Ma anche questa tragica esperienza è stata piegata alla ragione dell'applauso e del consenso. Disse nel 2010 a una platea di ragazzini: «L'unica cosa che posso dirvi è di farvi condizionare il meno possibile da una società che finge di darti un massimo di libertà e che in realtà ti sottopone a un massimo di condizionamenti». Gran finale: «Potrà sembrare un paradosso ma ai miei tempi, sotto il fascismo, si era molto più liberi di oggi». Il giudizio è insensato sotto ogni punto di vista. Senza contare che Camilleri, già all'epoca, pubblicava regolarmente i suoi libri con due case editrici, una delle quali di proprietà di Silvio Berlusconi. Eja Eja Camilleri.
Negli ultimi tempi, come tutti i sedicenti intellettuali, si era scagliato contro Matteo Salvini. Pochi giorni prima di morire, aveva dichiarato: «Stiamo peggiorando in tutto: nel linguaggio, nel modo di rapportarci gli uni con gli altri, in questa assurda aggressività. La politica dà un cattivissimo esempio, e i cittadini, il 90% ci sguazza». Il popolo dunque era bue. E il leader della Lega? «Non credo in Dio, ma vedere Salvini impugnare il rosario dà un senso di vomito. È chiaro che tutto questo è strumentale. Il Papa che sa quello che fa, non impugna il rosario, baciandolo. Sa che offenderebbe i santi nel momento in cui se ne serve. Fa parte della sua volgarità».
Sì, Camilleri era un tipico intellettuale italiano: credeva di essere un modello di libertà dello spirito e invece vedeva solo quello che voleva vedere. Fiero in cuor suo di essere il portavoce di idee antagoniste, in realtà era il fedele vassallo dei vincitori. Certo di sfatare i luoghi comuni, come tutti i falsi anticonformisti, era prigioniero del pregiudizio. Confondeva il paternalismo con l'amore per il popolo.
Non a caso, nove italiani su dieci, a suo dire, sguazzavano nella volgarità. Il valore della sua indignazione è sempre stato fissato dal mercato che, da comunista, forse voleva abbattere. Ironia della sorte, era il prodotto perfetto per gli scaffali delle librerie.
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