Ogni violazione della sfera privata genera fastidio e sconforto ma se parliamo di minaccia alla persona, l’unico caso in cui il nostro ordinamento giuridico legittima l’azione di difesa armata da parte del privato cittadino, le cose cambiano radicalmente e la condizione vissuta è lontanissima da tutto ciò che oggigiorno, nei Paesi civili, può definirsi normale.
Si parla di brutalità, di terrore, di istinto di conservazione, di fisica sopraffazione, tutte cose che non fanno parte della vita quotidiana e che il nostro stile di vita, nella maggior parte dei casi, non ci prepara ad affrontare.
A qualcuno tuttavia capita di vivere tale esperienza e giudicare un tale evento senza gli strumenti culturali adeguati, cioè la conoscenza degli intimi meccanismi che ne “regolano” lo svolgimento, potrebbe rivelarsi pericolosamente fuorviante. Ne parliamo dunque con chi bene conosce la materia.
La nostra, anche alla luce degli strumenti statistici, può dirsi una società violenta?
"Chi vive un’esperienza violenta subisce qualcosa che è solo parzialmente rappresentabile per mezzo di ragionamenti e numeri. La società italiana però, nel complesso, non può dirsi violenta e gli studi dell’Istat sono, in tal senso, esplicativi: gli omicidi consumati, quelli tentati e i casi di lesioni personali denunciati all’autorità giudiziaria dalle Forze dell’Ordine rappresentano una minima parte del totale. Siamo un popolo assai poco propenso alla violenza."
Quali sono le cause che determinano tale condizione?
"Il nostro apparato statale garantisce la fornitura di servizi essenziali ed esistono, complessivamente, condizioni idonee alla prosperità degli individui onesti. La cultura cattolica ha poi un ruolo importante nell’incentivare a rifiutare la violenza per risolvere determinati problemi. Elementi quali la crisi economica ed i flussi migratori hanno però elevato la soglia di rischio. Si pensi al fatto che vi sono aree nel mondo in cui la violenza è una consuetudine alla quale gli abitanti sono avvezzi, sia in senso passivo che in senso attivo. Mai avremmo potuto pensare di rimpiangere il buon vecchio “topo d’appartamento”, cioè il ladro vecchio stampo, all’origine del cliché franco – italiano che tanto ha illuminato la fantasia di autori e sceneggiatori. Un delinquente che grazie alle sue capacità era in grado di scassinare tutte le serrature, casseforti comprese. Quello che “curava” l’appartamento o la villa per giorni onde individuare il momento giusto per colpire. Già, il momento giusto! Quando in casa non c’era più nessuno perché i “signori” erano andati in vacanza e la servitù era stata congedata.
Parlare di “legittima difesa” comporta, prima, l’obbligo di riflettere sul fenomeno che la determina, quello della minaccia all’incolumità personale.
"Chi è minacciato deve sopravvivere e sopravvivere può voler significare sopraffare l’avversario ribaltando una situazione sfavorevole dovuta, per esempio, alla sorpresa. Si tratta di un evento di per sé altamente traumatizzante sia a livello emotivo che psico-fisico. Tali esperienze non si possono scordare per il resto della vita." 4) Quale spazio hanno le armi da fuoco nell’ambito degli eventi violenti? "Il maggior numero di delitti viene commesso con le lame e le cosiddette “armi improprie”, costituite da semplici oggetti capaci, se utilizzati in un determinato modo, di procurare lesioni."
Da parte governativa è stata, da qualche tempo, inaugurata una nuova stagione di "strette" sulla circolazione delle armi da fuoco in ambito civile, con il dichiarato obiettivo di prevenire fenomeni delittuosi. Viene però da pensare che gli interventi di natura normativa, limitando chi vive nella legalità, non abbiano alcun effetto sull’attività dei criminali.
"I criminali, per definizione, vivono ed agiscono al di fuori del c.d. “patto sociale”, perfettamente rispettato invece dai cittadini onesti. Le regole che valgono per questi ultimi non valgono per i primi e, tra soggetti tanto diversi, non esiste interscambio, nè formale nè sostanziale. I criminali sanno perfettamente come fare a procurarsi armi di ogni tipo, senza certo ricorrere al mercato regolare."
Un pensiero relativo agli “italiani che vanno al poligono".
"Giuseppe Garibali fu uno dei più convinti sostenitori dell’allestimento di strutture adeguate all’istruzione dei civili all’uso delle armi da fuoco ed il suo fine era, naturalmente, quello di preparare nuove generazioni di potenziali soldati. Un concetto non troppo dissimile da quello a cui si può ricondurre il 'Secondo Emendamento' della Costituzione statunitense. Negli anni, in Italia, il fascino del tiro sportivo ha attirato maggiore consenso da parte del pubblico ed attualmente la maggior parte degli italiani utilizza le armi a fini ludico-sportivi. I prodotti formativi sono di conseguenza adeguati a tale istanza."
Il possesso di un’arma da fuoco costituisce, per il cittadino, una garanzia di sicurezza?
"Decidere di ricorrere alla difesa armata presuppone l’assunzione, volontaria e matura, di determinate responsabilità: quella morale di accettare eventuali conseguenze della propria scelta e quella, concreta, di addestrarsi all’utilizzo della propria arma per utilizzarla in sicurezza, con efficacia, persino all’interno di un preciso contesto di regole al di fuori del quale si commettono abusi. Per tale motivo non basta possedere e saper vagamente maneggiare un’arma per essere sicuri. La difesa con arma da fuoco presuppone un addestramento specifico e non generico."
Come riconoscere il prodotto didattico di qualità?
"Se è vero che portare le armi da fuoco è una scelta di responsabilità, insegnare ad usarle è una responsabilità ben più grande. Chiunque si trovi a fronteggiare uno scontro a fuoco, ne deve conoscere le regole: scritte e non! I rischi, in questo caso, sono la sopravvivenza dell’operatore, della famiglia o persino vittime collaterali. La bravura di un istruttore si misura sulla sua capacità di condurre i propri allievi il più vicino possibile alla ragionevole certezza di sopravvivere nel corso di uno scontro a fuoco. Per essere credibili nell’insegnare a sopravvivere è necessario essere sopravvissuti: insegnare qualcosa che non si ha avuto modo di sperimentare può essere un business, ma non soddisfa certo le necessità di coloro che intendono addestrarsi ad affrontare un evento grave e serio come la minaccia all’incolumità fisica."
Cosa avviene veramente nella mente e nel corpo di una persona che deve difendere la propria sopravvivenza?
"L’alterazione psico-fisica di chi è costretto a difendersi con un’arma da fuoco è un fenomeno naturale i cui sintomi inficiano tanto le capacità sensoriali quanto la capacità di ragionamento e di scelta. Il c.d. “processo della paura” è una reazione che si scatena in ciascun individuo che si cimenta nella lotta per la sopravvivenza, a prescindere dal tipo di arma impiegata. Dal punto di vista sensoriale sono state documentate molteplici limitazioni: della vista, dell’udito e del tatto. Il battito cardiaco e la respirazione aumentano in maniera sproporzionata anche rimanendo immobili. Capacità (o competenze) innate come la coordinazione e la destrezza vengono compromesse. Di tutto questo si dovrebbe tenere conto quando si valuta il comportamento tenuto dai singoli attori di questi episodi. Nulla è facile. Niente è lineare."
Quanto esposto ci porta a riflettere su certi tecnicismi della normativa attuale, come per esempio quello riguardante la proporzionalità tra la minaccia e la difesa. Alla base ci sono riscontri di natura scientifica o pure dissertazioni teoriche?
"La formulazione dell'art. 52 CP risale pressoché inalterata all'entrata in vigore del codice penale...
sono stati aggiunti due commi nel 2006 inneggiando alla difesa abitativa ma non sono assolutamente aderenti alla realtà operativa delle aggressioni e delle invasioni domestiche, specie se si riflette sulle diverse modalità di esecuzione dei delitti in relazione alla modifica delle qualità soggettive degli assalitori."- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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