Per la Corte Ue, Bruno Contrada non andava condannato

Per i giudici della Corte europea all'epoca dei fatti il reato di concorso in associazione mafiosa non era "chiaro e prevedibile"

Per la Corte Ue, Bruno Contrada non andava condannato

Bruno Contrada non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. A dirlo è la Corte europea dei diritti umani, secondo cui "all’epoca dei fatti contestati, tra il 1979 e il 1988" il reato "non era sufficientemente chiaro e prevedibile" e quindi da parte dell’ex agente del Sisde non c’è stata una "violazione dell’articolo 7 della Convenzione".

A Strasburgo si era rivolto nel luglio del 2008 lo stesso Contrada, secondo cui, in base all’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti umani, che stabilisce il principio "nulla pena sine lege", non avrebbe dovuto essere condannato perché "il reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso è il risultato di un’evoluzione della giurisprudenza italiana posteriore all’epoca in cui lui avrebbe commesso i fatti per cui è stato condannato". Un'argomentazione che non era bastata ai giudici italiani. Per l'Europa, invece, i tribunali nazionali non hanno rispettato i principi di "non retroattività e di prevedibilità della legge penale".

Per questo lo Stato dovrà versargli 10mila euro di risarcimento (contro gli 80mila chiesti da Contrada) per i danni morali e 2500 euro (contro i 30mila richiesti) per le spese processuali sostenute.

"Sono frastornato, sconvolto, ansioso di sapere di più", ha detto Contrada all'Agi, "Lei sta parlando con un uomo la cui vita è stata devastata da 23 anni, dal 1992 ad oggi: ho subito sofferenza, dolore, umiliazione e devastazione della mia esistenza e della mia famiglia. Si può immaginare ed è intuibile qual è il mio stato d’animo in questo momento.

Poco fa ho sentito il mio avvocato che mi ha comunicato la decisione della Corte europea per i diritti dell’uomo. Aspetto di leggere la sentenza per rendermi conto di cosa dice e per quale motivo è stato accolto il mio ricorso".

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