Una lunga scia di sangue, che parte dal 2007 e arriva fino a ora, che macchia le campagne placide e piatte tra le province di Bologna e Ferrara, che tiene in ansia decine di paesi abituati a lasciare la porta aperta o quasi, che impegna centinaia di militari pieni di rabbia e armi alla ricerca dell'autore di questo romanzo criminale emiliano, ovvero «Ivan il russo», che forse russo neanche è ma dell'ex Jugoslavia, ma ormai russo è e russo resta.
L'ultima vittima è Valerio Verri di anni 62, una guardia provinciale volontaria in quota Legambiente.
È stato lui a trovarsi davanti Vaclavic sabato sera nel Mezzano, in provincia di Ferrara, nel corso di un controllo di routine e a essere ucciso come un cane rognoso per averlo affrontato guardandolo negli occhi mentre il suo collega Marco Ravaglia, 54 anni, si è salvato per essere rimasto in auto e il parabrezza ha frenato la potenza degli spari.
Ravaglia non è in pericolo di vita, è stato operato ed è in coma farmacologico, quando sarà svegliato le sue parole saranno decisive per trasformare l'indagine attualmente contro ignoti in un'indagine contro un nome, un cognome e un soprannome.
Verri lascia la moglie Silvia, i figli Emanuele di 38 anni e Francesca di 29, due nipotini che non potrà più tenere in braccio.
Oggi avrebbe dovuto essere premiato al teatro Nuovo di Ferrara come rappresentante delle guardie volontarie nel corso della festa della polizia. Ci sarà una sedia vuota.
Sabato 1 aprile era stato Davide Fabbri, 52 anni da compiere a giugno, a morire per la furia di Ivan il Russo nel suo locale, il bar Gallo, nella località Riccardina a tre chilometri dal centro di Budrio.
Anche lui sarebbe ancora vivo se non avesse reagito, ma nella vita si ha il diritto di non essere eroi ma anche la voglia di esserlo ogni tanto, e il mite Davide quella sera non ce l'ha fatta a vedersi strappare quei quattro soldi che aveva in cassa, non ce l'ha fatta a vedere violato quel locale semivuoto in cui vendeva caffè e salsicce e in cui i pochi vecchi del luogo giocavano a carte.
Davide è stato salutato da tutto il paese di Budrio giovedì pomeriggio, nel funerale nella chiesa della Pieve, non tutti lo conoscevano ma tutti sapevano che era una persona buona, che si faceva i fatti suoi, con la passione per gli orologi antichi e per la moglie Maria, che ora non sa come andare avanti e giovedì dopo aver toccato per l'ultima volta la bara di legno chiaro è svenuta come una bambina.
Davide ha lasciato anche il padre Franco, intestatario del bar, un uomo con la faccia di chi le ha viste tutta prima di capire che doveva vedere anche questa.
Ma a «Ivan il russo» si attribuisce anche l'assassinio del metronotte Salvatore Chianese avvenuto il 30 dicembre del 2015 in una cava a Fosso di Ghiaia nei pressi di Ravenna, un cold case con molte analogie con il modo di procedere di questa bestia slava.
Anche lui disarmato, anche lui freddato senza un grammo di pietà, con la differenza che nessuno venne sospettato e indagato, perché Vaclavic non lasciò tracce, tornò ad acquattarsi tra fossi e casali e nessuno lo cercò davvero.
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