E Mattarella (preoccupato) cambia cavallo

E Mattarella (preoccupato) cambia cavallo

Nulla trapela ufficialmente, ma un piccolo, piccolissimo sospiro di sollievo, da Amman, Sergio Mattarella lo ha tirato.

Il capo dello Stato, in visita ufficiale in Giordania, ha seguito a distanza, ma con grande attenzione, la preparazione del Def e le lotte al coltello nella maggioranza sui suoi contenuti, e chi ci ha parlato spiega che «tutto quello che va nella direzione della ragionevolezza» viene apprezzato al Quirinale. Dunque, l'«operazione verità» sul pessimo stato dei conti e l'argine frapposto finora da Giovanni Tria al dissennato pressing dei vicepremier, flat tax inclusa, rassicurano il Colle. Da cui filtra però la «preoccupata attesa» del presidente rispetto al risultato finale: cosa verrà messo, nero su bianco, nel Def? Quali misure reali (che poi saranno sottoposte al vaglio Ue) verranno scritte nel testo? L'inquietudine è comprensibile.

A Mattarella non sono certo sfuggite le pressioni furibonde cui è sottoposto il ministro dell'Economia, culminate nel dossieraggio delle ultime settimane. Il filo diretto tra Quirinale e ministro, spiegano i bene informati, è molto più virtuale, grazie ai media che così lo raccontano, che reale. I canali di comunicazione tra governo e Colle sono cambiati: il filo diretto con il presidente del Consiglio Conte, interrottosi all'epoca dell'avventato strappo con la Francia che è toccato a Mattarella ricucire, non è mai stato pienamente ripristinato. «Probabilmente perché il capo dello Stato è il primo a sapere che parlare con Conte è praticamente inutile», chiosano ironicamente nel Pd. Anche con i Cinque Stelle i rapporti sono incerti. Luigi Di Maio, lo stesso che era sceso in piazza a chiedere l'impeachment di Mattarella, ora si erge spesso, con untuosi omaggi verbali, a paladino del Quirinale, ma è un corteggiamento alquanto unilaterale.

Il canale con la Lega è stato a lungo quello con Giancarlo Giorgetti, potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Ma sul Colle si è spesso constatato come la linea Giorgetti non corrisponda sempre e automaticamente alla linea Salvini.

La novità degli ultimi tempi è che si è aperto un filo diretto con il segretario della Lega, nonché ministro dell'Interno, nonché vincitore atteso (nonostante i primi scricchiolii dei sondaggi) delle prossime elezioni europee. Cosa da quel filo diretto sia passato non è dato saperlo, ma si tratta di una novità significativa di suo.

Il prossimo, importante banco di prova nei rapporti tra governo e presidenza della Repubblica, una volta archiviato il Def, sarà la nomina del successore di Daniele Franco. L'attuale Ragioniere dello Stato, che è stato uno snodo cruciale e un fondamentale presidio razionale nello scontro durissimo sulla manovra del 2018, è in scadenza. Non a caso su di lui si rovesciarono i fiumi di veleno dei capi della maggioranza, perché era l'ostacolo inaggirabile tra le loro pretese e i numeri della realtà. Il 10 maggio, alla vigilia delle elezioni europee, lascerà dopo sei anni la sua postazione e tornerà in Banca d'Italia, da cui proviene. E dove è già stato nominato nel Direttorio.

La scelta del suo successore è quindi un appuntamento fondamentale: la Ragioneria dello Stato è l'autorità che vigila e ha l'ultima parola sui conti dello Stato. La proposta del nome spetta al ministro dell'Economia, ma la nomina deve essere ratificata dal Consiglio del ministri: il rischio che Salvini e Di Maio siano tentati di fare una forzatura e scegliere un personaggio accondiscendente ai desiderata dell'esecutivo è assai realistico.

Il fuoco incrociato su Tria (che avrebbe in testa una successione interna con il braccio destro di Daniele Franco, Biagio Mazzotta) serve anche a indebolire le sue resistenze su questa partita. Che può diventare terreno di uno scontro duro con il Colle.

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