E Renzi confidò: Berlusconi centrale

E Renzi confidò:  Berlusconi centrale

Qualcuno lo indica come uno dei grandi ispiratori del Rosatellum. Addirittura c'è chi insinua che si sia ritagliato nella legge un collegio estero per tornare in Parlamento. Ma lui, Denis Verdini, si schermisce, mentre la legge supera agevolmente l'esame della Camera. «Non dite che è la mia legge, altrimenti al Senato non passa», ridacchia mentre passeggia a piazza delle Coppelle, a metà strada tra Montecitorio e Palazzo Madama.

Il personaggio nel suo continuo deambulare tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, non ha perso il vecchio vizio di dispensare consigli ad entrambi. Magari in maniera più riservata rispetto al passato. E, naturalmente, pensa anche al proprio futuro. «Dove andrò? Magari - racconta - più su Renzi. Nel centrodestra c'è troppo casino. Se sono pronto a votare la fiducia sullo ius soli? Ma io sullo ius soli ho già aperto!». E così il «bene informato» spiattella con nonchalance la prima notizia: dopo la «strambata» a destra con la fiducia sul Rosatellum, lo skipper Matteo Renzi si prepara a riportare la barca del Pd in equilibrio, con la strambata a sinistra, cioè la fiducia sullo ius soli. Ma a Verdini oggi non interessa parlare di questo. Lui ormai si è calato nei panni del consigliere dei «principi» e ora che il Rosatellum è stato approvato, vuole dare qualche suggerimento anche a Berlusconi, sulla nuova partita che si apre, cioè la trattativa sulle candidature tra lui e Matteo Salvini: una trattativa che avrà un peso fondamentale sugli equilibri politici futuri. Del resto chi meglio di lui può parlarne, cioè dell'uomo che per anni ha gestito la pratica per il Cav.

«Il problema - spiega - è non sbagliare la prima mossa. Il plenipotenziario di Silvio, chiunque esso sia, deve subito dire ai leghisti sui collegi uninominali: il 60% a noi, e il 40% a voi. E lì stare fermo. Anche perché se si rompe sono sicuro che chi ci rimette è Salvini, che in questo caso finirebbe per avere meno seggi di Forza Italia. Per cui si parte dal 60%, poi magari sarà Berlusconi nella sua grande bontà a chiudere al 55% o al 50%». Secondo problema, la composizione delle liste: «Silvio - va avanti Verdini - corre il rischio che, scegliendo insieme i candidati nei collegi uninominali, Salvini gli proponga dei nomi che nominalmente sono di Forza Italia, ma che nella sostanza sono leghisti camuffati. A quel punto il Cav deve seguire lo stesso metodo che usano i ragazzini per comporre le squadre quando giocano a calcio in oratorio: per farle equilibrate, ognuno si deve scegliere i suoi. Per cui si stila una classifica dei collegi, dai più sicuri in giù, e un nome lo mette Silvio e un altro Salvini. Senza che l'uno possa interferire sulle scelte dell'altro».

Ma tutti questi consigli a cosa servono? «Ognuno ha i suoi sogni - risponde Verdini, consigliere dei due principi -: il mio è quello di avere Renzi premier e Gianni Letta sottosegretario alla presidenza del Consiglio».

Già, approvata per metà la legge elettorale (manca il sì del Senato), ognuno comincia a coltivare i suoi sogni. E, soprattutto, ognuno fa le sue supposizioni, le sue congetture, si avventura nei possibili numeri di una legislatura che di là da venire già appare, per usare un eufemismo, complicata. In fondo la legge elettorale è stata studiata, accettata o contestata, sulle simulazioni di ciò che potrebbe avvenire. Anche Matteo Renzi fa i suoi conti in prospettiva: «Vedrete - ha spiegato ai suoi - noi scenderemo ancora un po' fino a dopo le regionali siciliane. Poi piano piano risaliremo. Obiettivo: 200 deputati e 100 senatori. Ad esempio alla Camera, se io faccio il 30%, tra me e le liste alleate, cioè le cagatine (aggiunge per non rinunciare al senso dell'humour, ndr), significa che conquisterò 110 seggi sul proporzionale, più almeno - dico almeno - 90 seggi sul maggioritario. E ciò sarebbe sufficiente».

Sufficiente per cosa? Per essere centrale nel gioco politico, perché - per chi mai se ne fosse dimenticato - con il Rosatellum siamo entrati nelle logiche del proporzionale. Una «centralità» che nella testa di un Renzi calato nei panni del «politologo», potrebbe conquistare anche il Cav. «Io credo - osserva il segretario del Pd - che con il Rosatellum forse ci possa riuscire, col Consultellum invece non ci sarebbe riuscito. E, lo dico ora, non ci sarebbe riuscito neppure col tedesco, perché lo avrebbero schiacciato nella narrazione dell'inciucio».

Ma cosa significa «centralità» nel lessico politico? Semplice, avere un numero di parlamentari tale, da essere indispensabile per formare ogni maggioranza di governo. Tradotto per Berlusconi, significa avere in Parlamento dei rappresentanti necessari per formare un governo in caso di vittoria della coalizione di centrodestra; o, in via subordinata, se i numeri non ci saranno, essere imprescindibile per formare, quello che al Quirinale già chiamano un «governo di necessità», cioè un esecutivo che garantisca la governabilità al Paese. Naturalmente anche Berlusconi dispensa ottimismo. «Non nascondo di avere molte perplessità sul Rosatellum - è la sua analisi, quasi speculare a quella di Renzi - ma sicuramente votare con il Consultellum per noi sarebbe stato peggio. Detto questo la legge elettorale non mi appassiona, visto che sono sicuro di portare Forza Italia al 30%». Insomma, pure il Cav è sicuro che sarà «centrale» nel prossimo Parlamento. Una condizione che, in fondo, nessuno gli contesta nei pronostici. Specie a sinistra. Ad esempio, un articolo su Panorama a firma di Keyser Söze riporta una confidenza di Massimo D'Alema al senatore dissidente del Pd, Mucchetti: «Nessuno vincerà le prossime politiche - è la tesi del leader Maximo - per cui dovremo adattarci all'idea dell'unica maggioranza possibile, quella che metterà insieme Pd, Forza Italia e noi di Mpd, ma senza Renzi a Palazzo Chigi». «Un governo che non sarà guidato da Renzi ma neppure da Gentiloni dopo che ha deciso di mettere la fiducia sul Rosatellum», gli fa eco un altro scissionista del Pd, il senatore Federico Fornaro: «La verità - continua - è che Renzi ha trovato il modo anche di bruciare Gentiloni». E paradosso dei paradossi la stessa previsione, a parte quello che lo riguarda personalmente, torna anche sulla bocca del loro acerrimo nemico, Matteo: «Se nessuno dei tre poli vincerà - ha spiegato Renzi ai suoi - la formula più probabile sarà quella di una maggioranza con dentro il Pd, Forza Italia e Mdp, più, se esisteranno ancora, i centristi. Non è fatalismo, ma può essere realismo». Per cui a sinistra mentre c'è polemica sul nome del futuro premier, tutti danno per scontato che non si potrà formare nessun governo senza il Cav.

Un'analisi che riecheggia anche nelle analisi polemiche dell'unico partito di centrodestra che ha votato contro il Rosatellum, Fratelli d'Italia. «Questa legge - sentenzia Giorgia Meloni - ha due ispiratori: Renzi e Salvini». E perché il Cav li avrebbe assecondati? «C'è un patto non scritto tra Salvini e il Cavaliere», è il corollario che racconta La Russa, riportando le congetture in auge a destra: «Al primo non interessa vincere le prossime elezioni, vuole solo avere un seggio più di Forza Italia, per proclamarsi leader del centrodestra del futuro. Berlusconi, invece, vuole andare al governo in ogni caso: o con il centrodestra, o con Renzi in un governo di necessità. Su questo compromesso tacito, si assecondano l'un l'altro».

Sia vero o no poco importa, perché alle elezioni, qualunque sia il sistema, alla fine contano solo i voti. E su un punto sono d'accordo tutti, a destra come a sinistra, che se dalla Corte di Strasburgo arrivassero buone notizie, Berlusconi potrebbe essere la sorpresa delle politiche del 2018. Potrebbe diventare - per usare un termine in voga - «il più centrale» di tutti. Forse per questo un certo cinema, prepara, alla vigilia del voto, l'ennesima «operazione» strumentale contro di lui: lo aveva fatto Moretti alla vigilia delle elezioni del 2006 con il Caimano, e si prepara a bissarlo Sorrentino, magari con un imprinting più truculento, con una pellicola su Berlusconi, in tempo per le urne del 2018. «Mi hanno raccontato il copione - si lamenta il Cav - è offensivo, indegno. Un insulto». Nel nostro Paese, come nel mondo, la «creatività» a uso politico nel campo progressista non è una novità.

Del resto come la pensi Sorrentino è noto: quando vinse l'Oscar con La grande bellezza, ringraziò tutti meno che la casa di produzione, Medusa, che aveva finanziato il film. Un affronto, neppure tanto nascosto, al proprietario, appunto, al Cav.

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