Qualcuno penserà che lo scontro in Vaticano, quello alimentato dal "memoriale Viganò", riguardi lotte di potere senza scrupoli. Questo, in realtà, è di difficile verificabilità.
Certo è che tutta la vicenda sta interessando, in maniera più o meno indiretta, almeno due parti in campo: modalità distinte di concepire il cattolicesimo, una "progressista" e una "conservatrice - tradizionalista".
Monsignor Carlo Maria Viganò, lo scorso aprile, era uno dei presenti, seppur da semplice astante, al convegno intitolato "Chiesa cattolica, dove vai?". In quella circostanza, venne posto l'accento sulla "confusione" imperante, oggi, nella cattolicità. A parlare durante l'iniziativa furono, tra gli altri, il cardinale Raymond Leo Burke e il cardinal Walter Brandmueller: due dei quattro porporati che hanno apposto la loro firma ai dubia su Amoris Laetita.
Il "dossier Viganò" può non essere scaturito da mosse di parte, ma pare facile dedurre che, a sostenere l'ex nunzio apostolico, siano soprattutto alcuni ambienti dottrinali.
Qualcuno ha iniziato a parlare di un "microscisma" lanciato da un insieme di ecclesiastici per niente inclini ad accettare le "svolte" e il tanto sussurrato "cambio di paradigma": una "piccola parte" di Chiesa americana sarebbe ormai separata de facto da Roma. Dall'altro lato del tavolo, negli States, la farebbero da padroni alcuni cardinali divenuti tali con papa Bergoglio: Blaise Cupich, William Tobin e Kevin Farrell: nomi e cognomi ascrivibili al "correntone progressista", lo stesso insieme cui vengono associati anche lo stesso Theodore McCarrick e Donald Wuerl, arcivescovo di Washington, citato anch'egli nelle undici pagine dell'ex nunzio apostolico.
Tutti esponenti tacciati di aperturismo e/o modernismo dai conservatori. Sullo sfondo, giusto per segnalare una delle questioni aperte, c'è anche il rapporto tra dottrina cattolica e omossessualità. James Martin, il consulente del Vaticano in materia di comunicazione, sacerdote "pro Lgbt", la cui presenza all'ultimo meeting internazionale delle Famiglia di Dublino ha fatto molto discutere, proverrebbe dalla stessa realtà culturale.
Ecco perché, prescindendo dalla veridicità delle rivelazioni, il documento di Viganò ha contribuito a far emergere l'esistenza di una divisione. Un "mondo conservatore" e uno "progressista" si stanno combattendo. Il "memoriale" rischia di rappresentare l'ennesima puntata di una fiction iniziata con il Sinodo sulla famiglia e proseguita con le cinque domande poste al pontefice argentino sulla comunione ai divorziati risposati.
Papa Francesco viene "accusato" di aver dato spazio a quegli ecclesiastici americani che, stando all'interpretazione dei tradizionalisti, avrebbero posto le basi, sostenuti da altri alti prelati europei, per modificare nel profondo la dottrina cattolica.
La Santa Sede, per ora, ha optato per non rispondere al dossier di Viganò.
Le ricostruzioni giornalistiche hanno messo in evidenza come, all'interno di quel documento, siano almeno presenti delle incongruenze temporali, ma la domanda cui il Vaticano potrebbe dover rispondere da qui a qualche tempo potrebbe riguardare l'unità della Chiesa.
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