Il risultato delle Europee entra nella palude romana, il «porto delle nebbie» dove i contorni si sfumano e i colori si confondono. Una sola cosa è chiara: da oggi Matteo Salvini è il premier del Paese, e come tale parla e si muove. Quello formale, Giuseppe Conte, è sparito e quello presunto, Luigi Di Maio, è apparso in pubblico conciato peggio di un pugile suonato per sostenere che «va tutto quasi bene» e che nulla cambierà, bugia per altro non smentita da un cinico Matteo Salvini che a sua volta tranquillizza il socio dopo averlo colpito a morte nelle urne con grande soddisfazione (qualcosa di simile a quell'«Enrico stai sereno» rivolto da Matteo Renzi a Letta poco prima di mollarlo al suo destino). È ovvio e logico che i Cinque Stelle non potranno pagare a lungo le cambiali che Salvini manderà all'incasso una dopo l'altra. Quando e come questa nebbia sarà spazzata via da una salutare crisi di governo lo capiremo presto, che si tratti di giorni, settimane o qualche mese poco importa, ma certo più veloce sarà il distacco meno saranno i danni.
Già, ma poi che fare? La risposta l'hanno data ieri gli italiani che hanno accordato ai partiti del Destracentro (riedizione a trazione leghista del Centrodestra) il cinquanta per cento dei voti e premiato Salvini e Berlusconi (tornato onorevole) come i candidati con il più alto numero di preferenze tra tutti i contendenti. Ma siccome le cose semplici a non tutti piacciono, nella Lega e in Fratelli d'Italia c'è chi - preso dall'euforia - storce il naso: facciamo da soli noi due, dicono con scarso senso della memoria e visione traballante.
Non prendere atto della realtà e complicarsi la vita è una sindrome diffusa in politica. Sul fronte opposto infatti Zingaretti e chissà chi dei grillini (Casaleggio? Di Battista? Fico?) sono già al lavoro per un accordo Pd-M5s che sarebbe già in essere da anni se solo prima Grillo (su proposta di Bersani nel 2013) e poi Renzi (interpellato da Di Maio dopo le elezioni del marzo scorso) non lo avessero stoppato.
Essersi liberati a fatica di un governo grillino per rischiare di riconsegnare il Paese alla sinistra più sinistra quando a portata di mano c'è la maggioranza assoluta sarebbe un vero suicidio, un capolavoro di stupidità che possono concepire solo menti in delirio di onnipotenza o offuscate da frustrate ambizioni personali.
La politica per «fatto personale» o intesa come gioco d'azzardo non porta mai lontano.Per credere, chiedere a Renzi, che alle penultime elezioni Europee non prese il 34 né il 6, ma il 42. Per questo pensò di essere autonomo e mal lo incolse.
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