Quando si affronta il tema della libertà di espressione e di stampa, e in generale quando si discute di giornalismo e di media, si rischia di scadere molto spesso nel luogo comune: e allora al bando la macchina del fango, la teoria del complotto e ogni forma di degenerazione dell’informazione, sempre meno sinonimo di conoscenza e sempre più incline alla cialtroneria e al gossip. Forse, per alcuni, anche questa è una di quelle volte in cui sarebbe stato meglio tacere. Ma anche no. In questi giorni si è gridato allo scandalo contro una sentenza che se non fosse stato per i suoi illustri protagonisti sarebbe senz’altro passata sotto silenzio; avrebbe giaciuto insieme alle altre centinaia di migliaia negli archivi della Cassazione e, all’occorrenza, sarebbe stata citata come precedente da avvocati e magistrati, a favore di più o meno fondate tesi difensive. La pronuncia in questione è quella che ha parzialmente accolto il ricorso presentato dalla difesa di Fedele Confalonieri contro la decisione della Corte d’Appello di Milano che aveva negato al Presidente di Mediaset il risarcimento dei danni richiesto per tre articoli apparsi sul ‘Corriere della Sera’ nel 2005. I giudici di Piazza Cavour hanno semplicemente fatto applicazione di una norma di legge in conformità, peraltro, ad un proprio consolidato indirizzo giurisprudenziale. La Suprema Corte, infatti, richiamati l’art. 684 del codice penale e l’art. 114 del codice di procedura penale (norme, per così dire, non proprio di “ultima generazione”) ha rimarcato l’ovvio: non si possono pubblicare, in tutto o in parte, atti o documenti di un procedimento penale di cui sia vietata la pubblicazione. Lungi dal voler affrontare il merito delle questioni trattate e dal scivolare in non dovuti e non richiesti giudizi sugli esiti dei tre gradi di giudizio sino ad oggi celebrati, la vicenda (recte le reazioni eccessive e ingiustificate) induce a una riflessione.
Non confondiamo i confini (legittimi) dell’informazione con strumentali lacci e lacciuoli. Ogni giornalista è consapevole del proprio raggio di azione e di quanto il suo operato sia il più delle volte border line a confronto con le leggi vigenti, non necessariamente sempre e solo a tutela della reputazione. Con i suoi articoli un giornalista mette in risalto le proprie capacità professionali, la testata giornalistica aumenta la tiratura e i lettori saranno sempre più numerosi. Ovviamente la capacità di essere dentro la notizia, di offrire per primi ai lettori prove documentate, di accendere i riflettori sulla politica, sull’economia, sulla finanza e quant’altro ha un costo, l’importante è non confondere il “rischio di impresa” con l’applicazione della legge. Quotidianamente nelle redazioni dei giornali vengono svolte valutazioni sull’opportunità di pubblicare una determinata notizia, sul modo, sui tempi, sull’estensione dei contenuti, nella consapevolezza che quasi mai le ragioni della democrazia (intesa come punto più alto della manifestazione del pensiero), della linea editoriale e della giustizia coincidono. Insomma in quel lontano 2005, al Corriere tra la forte tentazione di pubblicare gli stralci di interrogatorio di Confalonieri e la consapevolezza che quel comportamento avrebbe potuto essere sanzionato, è prevalsa la prima, a prescindere dall’inequivocabile divieto normativo. Ma attenzione, vietare la pubblicazione di atti giudiziari penali non equivale a imbavagliare i giornalisti, tanto meno a costringerli all’autocensura. L'efficacia esimente del diritto di cronaca in ordine al reato di diffamazione ha un perimetro ben definito rappresentato dalla verità della notizia, dalla sua rilevanza sociale e dalla continenza espressiva. Il divieto di pubblicazione di atti o notizie del procedimento penale non costituisce a priori un limite all’esercizio del diritto di cronaca (in particolare) giudiziaria, ma può fondare - come nella fattispecie decisa dalla Suprema Corte - un’autonoma pretesa risarcitoria che nulla ha a che concernere con la diffamazione. Insomma, cari giornalisti, nulla è cambiato rispetto a una settimana fa. Continuate a scrivere nel rispetto delle regole.
Condivisibili o meno, ovvio: ma questa è un’altra storia.Avv. Alessandra Fossati esperta in diritto dell’informazione
Studio Legale Munari Cavani
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