L'Italia vuole un'indagine congiunta e vuole che si faccia luce su quanto è successo a Giulio Regeni, il giovane ricercatore dell'università di Cambridge ritrovato senza vita sulla via desertica che dal Cairo porta fino ad Alessandria, sulla costa mediterranea, seminudo e con addosso i segni della tortura.
È per lavorare accanto agli egiziani, se non per stargli con il fiato sul collo, che ieri un team di investigatori italiani è arrivato al Cairo, dove ha già incontrato l'ambasciatore Maurizio Massari, in attesa di poter sapere come e se si stanno muovendo le indagini, mentre già si parla di due fermi (non confermati, i sospettati sono tornati in libertà) in relazione alla morte di Regeni, e in che misura potranno affiancare il lavoro degli inquirenti nordafricani.
Pare ormai chiaro che prima di morire Giulio Regeni sia stato torturato. Lo ribadisce questa mattina proprio l'ambasciatore italiano al Cairo, che al Corriere della Sera racconta della salma portata all'obitorio nel quartiere di Sayyida Zeinab, un'area piuttosto centrale della capitale egiziana. "Presentava segni evidenti di percosse e torture. Ho notato ferite, ecchimosi e bruciature". E aggiunge: "Vederlo per me è stato devastante".
Sul perché di quelle sevizie i dubbi sono ancora molti. L'ipotesi al vaglio, riferita anche da fonti del Giornale, è che si debba cercare una risposta nel cellulare di Giulio Regeni, o comunque in una piccola cerchia di persone con cui era in contatto, grazie alle quali dal Cairo - dove si trovava per una tesi in economia - scriveva di movimenti sindacali. Lo aveva fatto anche per Il Manifesto, che considerava suo "giornale di riferimento" in Italia e per Nena News, agenzia indipendente sul Vicino Oriente.
Forse chi lo ha torturato voleva quei nomi, forse lo pensava troppo vicino ai circoli dell'opposizione. Ad ogni modo l'ombra che spunta dietro al caso Regeni - su cui puntano anche fonti dell'Huffington Post - è quella dei Mukhabarat, gli ambienti meno cristallini di polizia e forze armate egiziane.
Va anche capito chi sapesse di quello che stava succedendo. Se la pista dei servizi o dei paramilitari è quella buona, quanti sapevano che Regeni veniva torturato? Quanto in alto nella catena di comando era arrivata la notizia? Il dossier è per forza di cose finito, dopo il ritrovamento del corpo di Giulio, sulla scrivania del presidente Sisi, ma le ragioni dietro le torture e se i torturatori sapessero chi era (o anche solo che rischiavano pesanti ripercussioni) al momento non è chiaro.
Se fino a poco prima del ritrovamento del cadavere fonti egiziane giuravano che Regeni non era stato arrestato, c'è invece chi parla di un fermo il 25 gennaio. Non un giorno qualsiasi, perché nell'anniversario della Rivoluzione del 2011 la città era blindata e le notizie di sequestri e arresti sommari in vista di possibili manifestazioni - che poi non ci sono state - non sono mancati.
"Siamo ancora ben lontani dalla verità", ha detto questa mattina il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Nel primo pomeriggio la salma di Giulio è arrivata all'aeroporto di Fiumicino, attesa dalle autorità italiane.
Gli egiziani parlano intanto di un omicidio senza nessun movente di tipo politico,
ma l'ipotesi della criminalità sembra quella meno probabile. E le indagini devono fare i conti anche con interessi economici tra i due Paesi che fanno muovere tutti con i piedi di piombo. Molto è ancora da chiarire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.