Seduto su una poltrona del Transatlantico di Montecitorio, Carlo Sibilia, grillino, da poco sottosegretario all'Interno, per cui sempre a contatto con Matteo Salvini, spiega il rebus delle nomine bloccate dall'ennesima fumata nera su cassa Depositi e Prestiti. «Non c'è accordo su Cdp spiega ma non tra noi e la Lega. Semmai con il ministro Tria, che rappresenta qualcuno che è ancora più in alto». Lo stesso discorso che aveva fatto il giorno prima, alla buvette di Montecitorio, un altro ministro 5 stelle, quello per i rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro. «Noi e i leghisti era stata la sua analisi - il punto d'incontro lo troviamo sempre. Tria, invece, si è preso il compito di garantire il passato. Per cui la trattativa è a tre». E non deve sorprendere se quel ragionamento era apparso già al mattino dello stesso giorno, in un incontro raccontato da Panorama - tra il plenipotenziario del Carroccio, Giancarlo Giorgetti, e la delegazione leghista al governo. «I problemi era stata la diagnosi del braccio destro di Salvini - non li abbiamo con i grillini, non c'è nessun braccio di ferro con loro. Il pragmatismo ci accomuna. Semmai l'interlocuzione più complessa è con Tria».
Chiamatelo fattore «T», appunto dal nome del ministro dell'Economia Giovanni Tria. Ebbene è proprio quel personaggio dall'aria accomodante (qualcuno addirittura lo paragona al ragionier Filini dei film di Fantozzi), che sta condizionando quello che da sempre è il vero core business del governo gialloverde, cioè le nomine. In fondo Alberto Bagnai, l'economista che piace a Salvini, lo aveva detto ancora prima che Conte si insediasse a Palazzo Chigi: «Il contratto di governo non è rilevante. Ci puoi mettere anche il programma di Nerone. La cosa importante sono le 300 nomine che vanno a scadenza». Ma il tentativo di ridisegnare la mappa del Potere in Italia con i colori giallo e verde, si è incagliato sulla madre di tutte le nomine cioè Cdp: un patrimonio di 450 miliardi di euro, ganglio essenziale per decidere se finanziare questo o quel progetto e, quindi, di conseguenza per determinare anche le priorità delle tante voci presenti nel «contratto» di governo. E naturalmente Tria, che dietro l'apparenza paciosa nasconde un carattere caparbio, che ha vissuto a Shangai, parla il cinese e ha imparato la pazienza dai testi di Confucio e la strategia dalle massime di Sun Tzu, da buon soldato ha deciso nella giungla delle nomine di fare proprio su Cassa Depositi e Prestiti la sua battaglia. E l'ha impostata sfruttando la sua risorsa principale di personaggio che ha lavorato con Brunetta, con Alfano, con Savona, con Padoan, cioè «la trasversalità». Un elemento che nel governo sovranista poteva sembrare una debolezza, ma che, invece, ha trasformato nella sua forza. In un mese, infatti, il ministro dell'Economia è diventato il garante di Mattarella, di Bruxelles, di Draghi, dei mercati, del Parlamento. Se si dimettesse lui almeno è l'immagine che ne offre l'establishment - verrebbe giù il mondo e lo spread raggiungerebbe quota 600. «Ci sarebbe da cantare è la battuta del piddino Stefano Ceccanti meno male che Tria c'è!».
Nello schema di nomine che il ministro dell'Economia predilige per la Cassa - in cui c'è pure l'inchiostro del presidente delle fondazioni bancarie, Giuseppe Guzzetti, e la penna di Mattarella c'è tutto questo: al di là del candidato alla presidenza, Massimo Tononi, deciso dalle Fondazioni, c'è, infatti, Dario Scannapieco, ultimo dei Ciampi boys (che riscuote la simpatia di tutto l'establishment finanziario italiano) e Fabrizio Palermo, che piace ai grillini. «Eppure nella finanza è figlio del presidente di Fincantieri, Giuseppe Bono aggiunge con una punta d'ironia, Guido Crosetto, che certi mondi li conosce bene ed ha ottimi rapporti con certi ambienti in Francia». A parte le contraddizioni grilline, salta subito agli occhi che in quell'organigramma la Lega non è rappresentata. Da qui il braccio di ferro. «Siamo ancora in alto mare confidava ieri a metà giornata Giorgetti ad un amico -: in certi organigrammi sono troppo alti alcuni e troppo bassi altri». Mentre il senatore leghista Enrico Montani è ancora più chiaro e più insidioso: «Cdp è l'unica cosa che conta. Ho chiesto al nostro sottosegretario al Mef, Massimo Garavaglia, se conosceva i nomi che si fanno, mi ha risposto che non sa chi siano. Questo la dice tutta. Del resto Tria in commissione sembra un ministro di Monti».
Appunto, torniamo allo scontro con l'establishment. Un modo per nobilitare la battaglia sulle nomine, ma anche per esorcizzare l'handicap del governo sovranista: è a corto di nomi, ed è costretto ad affidarsi a «tecnici» che non sempre sono pronti a prendere ordini. Tria docet: due sottosegretari all'Economia, la grillina Laura Castelli e il leghista Garavaglia, sono su tutte le furie perché il ministro gli ha comunicato che non gli darà deleghe. Ed è fatale che con «i tecnici» la partita a scacchi si faccia complicata: senza le nomine di Cdp si bloccano anche quelle della Rai, di Ferrovie e via dicendo. Ad esempio, per la presidenza dell'azienda di viale Mazzini è sicuramente in ballo sotto i vessilli della Lega, Giovanna Bianca Clerici, ma è evidente che se l'organigramma di Cdp si colorasse un po' più di verde, l'interessata sarebbe disposta a fare un passo indietro. «Quella partita ammette lei stessa conta molto di più».
Ma è solo una speranza: in realtà siamo allo stallo, mentre sulle altre nomine balla l'intero Parlamento. A cominciare dai grillini. Ad esempio, nella consultazione della base M5s sui nomi per il Cda Rai, le cose non sono andate come avrebbe voluto la Casaleggio Associati o Rocco Casalino: l'indicazione dei vertici era per Claudia Mazzola del Tg1 o Paolo Favale, licenziato Rai; nomi che, invece, sono stati boicottati da Carlo Freccero, Elio Lannutti e altri, a favore di Beatrice Colletti, proveniente da Fox e Disney Channel.
Stessa cosa rischia di ripetersi per il Csm, visto che ieri il deputato 5stelle, Andrea Coletti, ha ironizzato sul fatto che dei cinque nomi proposti al movimento, due provengono da Firenze. Un modo per insinuare che dietro ci sia la manina del premier Giuseppe Conte.
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