Nel giorno del primo incontro ravvicinato del terzo tipo tra grillini e piddini, fino all'altro ieri abitanti di due pianeti lontani, Graziano Delrio, presidente dei deputati del Pd, fa di tutto per dimostrare che l'inedita alleanza è valida, non fosse altro che per un motivo: mettere all'angolo il Lord Fener, il cattivo della politica italiana, che nell'iconografia del partito di Zingaretti corrisponde, inutile dirlo, a Matteo Salvini. «Ancora non so se si voterà o no - spiega un'ora prima dell'incontro con la delegazione 5stelle - ma non vedo problemi insormontabili. Ad esempio, la riduzione dei parlamentari, per renderla potabile per noi, basta legarla a una nuova legge elettorale proporzionale. Il proporzionale è l'unico modo per farla finita con la cultura politica che esprime Salvini. Del resto il bipolarismo era nato per valorizzare le istanze moderate dei due schieramenti; ora, invece, enfatizza solo le estreme. Per cui se vuoi rilanciare il moderatismo contro il sovranismo devi passare per il proporzionale». Discorso che sia pure con un lessico diverso, riecheggia nei ragionamenti del presidente della commissione antimafia, il grillino Nicola Morra, davanti a un caffè alla buvette di Montecitorio. «È ovvio che la riduzione dei parlamentari si porta dietro, in una logica di check and balance, il proporzionale. Il proporzionale rimette in moto il sistema politico italiano. L'attuale legge, il Rosatellum, invece, è l'humus più adatto per la crescita del salvinismo».
Questo si racconta nell'accampamento giallo e in quello rosso. Quello verde, invece, è animato dal coraggio della disperazione: anche lì c'è la consapevolezza che in questo duello ci si gioca il futuro. Motivo per cui per andare alle elezioni o per restare al governo, Salvini e i suoi sono pronti a tutto. Anche a umiliarsi davanti ai 5stelle. Ad appena una settimana dalla crisi nata sull'incompetenza grillina, Salvini è pronto ad accettare non solo la premiership di Di Maio (notizia di ieri), ma a concedere pure il ministero dell'Economia a un pentastellato. Insomma, come in una partita a poker infernale non c'è limite al rilancio. Il leader leghista ha paura, per cui tenta di scongiurare il peggio. Ha recapitato un messaggio di disponibilità incondizionata a Di Maio: «Io sono pronto a vederti in qualsiasi momento: al mattino, a pranzo, all'ora del tè o dell'aperitivo, a cena, nel dopocena o a qualsiasi ora della notte». Mentre i suoi uomini non smettono di corteggiare senza inibizioni gli ex alleati. «È la teoria del caos - confida con gli occhietti furbi Roberto Calderoli - teorizzata da Giorgetti». Mentre l'ex ministro dell'Agricoltura, Gianmarco Centinaio, ha spiegato ad alcuni esponenti leghisti la tattica del Carroccio: «Cosa farà Matteo non lo so, ma più noi offriamo ai grillini e più loro alzeranno il prezzo con il Pd. Magari salta tutto».
À la guerre comme à la guerre, tutto è permesso: colpi bassi, tranelli, insidie. Non ci sono regole nel duello. Non c'è onore, non c'è orgoglio. Anche perché non si gioca in positivo, ma contro qualcuno: Salvini nella sua diretta facebook dal Viminale ha giurato che farà di tutto, proprio di tutto, per impedire il ritorno al governo del Pd e di Renzi; gli altri non nascondono che, se verrà alla luce, il nuovo esecutivo punterà a cambiare lo scenario che ha favorito la nascita del «salvinismo». Vogliono bloccare il fenomeno e sradicarlo con una nuova legge elettorale, prima che si appropri del Paese. «Siamo - osserva Federico Fornaro, capogruppo di Liberi e uguali - alla filmologia americana più cruenta. Ad Highlander, ne resterà solo uno, ai film castastrofici hollywoodiani. Salvini sa che rischia di lasciarci le penne. Noi ci rendiamo conto che se vince lui, si prende il potere e il Paese».
Appunto toni ultimativi e l'avversario, ancora più di prima, si trasforma in un nemico. Era questo lo spirito che aleggiava sul colloquio informale, e casuale, che Di Maio ha avuto ieri mattina con Bruno Tabacci, un ex democristiano milanese che ruota nell'area della sinistra. «È uno dei momenti di svolta della politica», ha esordito quest'ultimo. «Ce ne rendiamo conto anche noi», ha risposto il leader 5stelle. «Se non fate questo governo - lo ha incalzato Tabacci - voi siete morti, Salvini vi sbaraglia, e il Pd si suicida». E l'altro: «Lo sappiamo a tal punto che abbiamo aperto al Pd. E ti posso assicurare che per noi è stata una decisione difficile. Solo che loro non possono cincischiare su una questione come la riduzione dei parlamentari, che per noi è fondamentale». «Sono d'accordo - gli è andato dietro l'ex dc - anche loro debbono rendersi conto della posta in gioco. Senza contare che se alla riduzione dei parlamentari aggiungi il proporzionale, il salvinismo non c'è più». «Appunto!», si è congedato Di Maio, che non ha voluto aggiungere di più: in fondo appena venti giorni fa il Matteo leghista era l'alleato, il Matteo piddino l'avversario. E può ancora succedere il contrario.
Quanto è avvenuto ha cambiato tutto. Salvini con la strategia della guerra lampo, crisi e le elezioni subito, ha tentato di far fuori tutti gli altri. È naturale che gli altri, anche se erano stati nemici, sono quasi costretti ad allearsi per far fuori lui: è il principio della legittima difesa; è la logica per cui l'unica bussola che guida nella baraonda generale è che il nemico del mio nemico è mio amico. Una volta Salvini disprezzava Di Battista. Ora, invece, che spinge per il voto dice: «Avete visto i commenti sotto il post del Dibba: lui è il nostro migliore alleato». Già, non ci sono regole, quando si parla di sopravvivenza se il capitano per tornare in gioco ha dovuto addirittura promettere a Di Maio Palazzo Chigi. Una lusinga che ha spinto il leader grillino ad alzare il prezzo con il Pd. Ieri sera ha rilanciato il nome di Conte per Palazzo Chigi e ha dato 24 ore al Pd per avere una risposta. Una mossa che ha scoraggiato uno Zingaretti che si muove goffamente in un duello così spregiudicato e spietato. «Non vorrei che Di Maio lunedì tornasse con la Lega», ha commentato. Magari ci vorrebbe più carattere quando entra in ballo l'istinto primordiale, che accompagna sempre il verbo «tradire».
«Salvini ci corteggia?», chiede il numero due dei grillini alla Camera, Francesco Silvestri: «Forse ha capito che il tradimento non paga, ma il tradimento, in ogni caso, resta». Ecco perché è difficile che a questo punto i 5stelle cambino strada, ma la trattativa con il Pd avrà momenti estenuanti. È lo stile della casa. Ma è difficile che cambi l'interlocutore. Gli insofferenti saranno accontentati nel solito modo: Alessandro Di Battista alla ricerca di un lavoro, troverà posto nel governo.
La posta in gioco è alta e il duello crudele: Salvini se arriva alle elezioni vince tutto; se nasce un governo giallorosso perde tutto. Non c'è rete: il Di Maio sconfitto alle europee può oggi aspirare a Palazzo Chigi.
E se perde Zingaretti rischia di perdere anche la segreteria del Pd. All'epoca in cui era numero uno del partito, Franceschini, ogni volta che incontrava un barbone per strada lo indicava al suo staff: «Lo vedete quello, ha fatto il segretario del Pd».
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