I volontari salva-bambini

In venti anni grazie all'aiuto dei centri per la vita sono nati 55mila bambini. Aiutano le donne in difficoltà, soprattutto economiche, a non abortire

I volontari salva-bambini

La pancia non si vede ma Sonia cerca di nasconderla sotto un maglione di un paio di taglie in più. «Ho deciso, voglio abortire, ho già un sacco di problemi e non ho un lavoro». Ma la voce le trema, non sembra convinta al cento per cento. Le volontarie del Centro di aiuto alla vita si accorgono della sua esitazione e, in cuor loro, capiscono di avere lo spazio per intervenire. Ma non iniziano né lavaggi del cervello né opere di convincimento. «Sappi che noi siamo qui - si limitano a dirle - e ti possiamo aiutare, scegli tu. Ti daremo latte e pannolini, tutine e tutto quel che ti serve». Sonia taglia corto, non ha voglia di stare ad ascoltarle e tanto meno di parlare di culle, ma mette in tasca il volantino con i contatti e le informazioni. E se ne va con lo sguardo un po’ più leggero. Forse si darà una possibilità. Di donne come lei agli sportelli dei 350 Centri di aiuto alla vita ne arrivano più di 30mila all’anno. Confuse, avvilite, ma non del tutto rassegnate. In 7 casi su 10 vogliono abortire perché non hanno abbastanza soldi per mantenere il bambino. Vivono di lavori saltuari, sono pronte a rinunciare al pancione pur di non perdere il contratto da precarie, nell’ultimo anno hanno tirato avanti grazie alla cassa integrazione del marito, quasi esaurita. Alcune hanno già preso appuntamento per l’intervento. Ma in tanti casi cambiano idea all’ultimo momento. E diventano mamme, senza mai pentirsi di non aver abortito. Ad affiancarle nella loro scelta c’è l’esercito di volontari salva-bambini del Movimento per la vita. Grazie a loro solo nel 2015 sono nati 9mila bambini. In particolar modo a Milano, la città con il maggior numero di richieste di aiuto, nascono mille bimbi all’anno grazie al supporto del Centro di aiuto alla vita, attivo all’interno della clinica Mangiagalli.

NIENTE LAVAGGI DEL CERVELLO

L’attività di sostegno alla maternità è discreta e silenziosa. Non è fatta di propagande invadenti, né di pressioni. Ma di semplice affiancamento. Nel più totale anonimato, le donne che stanno valutando se abortire o meno, possono scegliere di fare due chiacchiere con le volontarie. Un colloquio in consultorio che tante volte si trasforma in uno sfogo, in un pianto liberatorio. «Nove donne su dieci decidono di portare avanti la gravidanza dopo il primo incontro - spiegano le volontarie -. Capiscono di non essere sole nella loro avventura e si rendono conto di avere un’alternativa». Ai colloqui si parla poco del bambino, ci si concentra piuttosto sulle ansie delle donne, di cui molte straniere, che non si sentono all’altezza del ruolo di madri. Si fa squadra e si cerca di guardare avanti assieme. C’è un motto che accomuna il lavoro delle volontarie: non è possibile rinunciare a far nascere un bambino «solo» per motivi economici. E per questo danno in mano alle gestanti un foglio con l’elenco del corredino che sono disposte a donarle, fino al primo anno di vita del bambino, e una proposta economica di sostegno. Vedere quella cifra nero su bianco dà sicurezza e quasi sempre scioglie i dubbi.

Ai centri di aiuto alla vita però arrivano anche donne che hanno problemi ben diversi da quelli di denaro. I volontari si sono trovati di fronte coppie in cui lui, manager di successo, voleva far abortire la moglie per non rinunciare ai viaggi e alle sciate assieme a lei. Oppure donne che, dopo aver scoperto di aspettare due gemelli, sono andate in crisi: «Non ce la faccio, non ne voglio due». E il marito a coccolarle e riempirle di attenzioni. «Molte volte - raccontano al Cav - abbiamo a che fare con gestanti che si sono appena sentite diagnosticare malformazioni o gravi malattie del bambino. Sono spaventatissime e vogliono interrompere la gravidanza. In quei casi i colloqui sono drammatici e molto sofferti». Ma poi scatta qualcosa in quelle mamme e, quando chiudono dietro di sé la porta del consultorio, tante capiscono che non possono rinunciare al loro bambino, qualsiasi problema abbia. Ed è anche capitato che le diagnosi più orribili fossero del tutto infondate. Piccoli «miracoli» che le volontarie portano ad esempio durante i colloqui. «Abbiamo visto nascere bambini sani e paffuti, quando invece erano state annunciate grosse anomalie al cervello».

L’ALTRA FACCIA DELLA 194

Il Movimento per la vita lavora per prevenire l’aborto volontario. Ma non lo fa andando contro la legge 194, anzi, ne interpreta gli aspetti dimenticati. Cioè si appella a quei risvolti del provvedimento, spesso trascurati, che spronano chiaramente a «rimuovere gli ostacoli che inducono ad abortire». Ostacoli che sono quasi sempre economici. «La legge 194 - spiega Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento - autorizza l’interruzione di gravidanza nell’eventualità di un conflitto con le condizioni di salute della madre e invita a trovare soluzioni alternative, riconoscendo il diritto alla vita del concepito, seppur in modo molto affievolito ». Tuttavia tutelare la libertà di non abortire non è semplice e ci sono parecchi problemi da rimuovere. Innanzitutto la maggior parte dei Centri di aiuto alla vita opera all’esterno degli ospedali e invece «sarebbe utile una collaborazione più stretta fra volontari e strutture sanitarie».

In secondo luogo, come sottolinea l’ultimo rapporto del Movimento della vita, serve un rafforzamento del ruolo dei consultori. «E poi - si legge fra le proposte del dossier - occorre una registrazione più puntuale da parte degli uffici ministeriali non solo del numero degli aborti effettuati ma anche delle gravidanze portate a termine proprio grazie agli interventi di prevenzione ». Resta aperto il problema dei finanziamenti: «Lo stato non assicura fondi per la prevenzione» ma è tutto sulle spalle delle volontarie e alimentato dalle donazioni benefiche, che non sempre hanno un flusso regolare. Gian Carlo Gigli ha appena presentato in Parlamento un progetto di legge, assieme al parlamentare cristiano e centrista Mario Sberna, per cambiare le regole. E rendere obbligatoria la proposta di un percorso di adozione che parta esattamente nel momento in cui viene chiesto un certificato per l’interruzione di gravidanza. «La donna - spiega Gigli - potrebbe decidere di lasciare la vita al suo bambino sapendo che, sette giorni dopo il parto, il piccolo avrà già una famiglia adottiva pronta ad accoglierlo. Fino a quella data però la gestante può cambiare idea. In questo modo risponderemmo anche alla grande richiesta di adozioni». Tuttavia per ora, finché la proposta non verrà approvata, nei centri di aiuto alla vita non si ventila mai l’ipotesi di un’adozione. Le volontarie si sono rese conto, a furia di esperienze, che è controproducente. «Non ne parliamo mai se non è la donna per prima a sollevare la possibilità. In quel caso allora diciamo: “Sei una brava mamma”. E la aiutiamo a seguire quella strada».

ABORTI E PILLOLA

Fra gli infiniti dibattiti tra abortisti e non abortisti, le interruzioni di gravidanza in Italia nel 2015 sono state 87.639, nel 2014 sono arrivate a quota 96.578 e per i primi due anni si è scesi sotto le 100mila. Questo grazie alla prevenzione e alla contraccezione, anche quella di «ultima generazione». A fare la sua parte nel calo degli aborti è stata anche la cosiddetta pillola dei cinque giorni dopo (un contraccettivo d’emergenza che in realtà viene considerato un metodo abortivo precoce dalle associazioni che difendono la vita). Ne sono state vendute più di 83mila confezioni nel 2015, contro le 16.800 prescritte l’anno precedente. Il maggior numero di aborti si rileva fra i 20 e i 35 anni ma resta elevato anche a 39 anni. Il 30% dei casi riguarda donne straniere e stanno lievemente aumentando gli aborti tra le minorenni, poco più del 3%.

Quel che rilevano medici e volontari è che sta crescendo il numero delle sedicenni (a volte anche dodicenni) che si presentano in ospedale accompagnate da mamma e papà per interrompere la gravidanza. Un loro diritto, ma che forse solleva un problema: quello della superficialità nell’affrontare rapporti sessuali ed eventuali conseguenze.

Va comunque considerato che, seppur elevati, i dati degli aborti in Italia sono inferiori rispetto alla media europea, dove l’interruzione di gravidanza viene fatta con più «sportività ». Una ricerca da poco pubblicata dimostra inoltre che i giovani sono più attenti alla contraccezione e, anche se cominciano la loro vita sessuale fin da giovanissimi, sono informati sulla profilassi. Maria

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