Signor presidente del consiglio dei Ministri, on. Giuseppe Conte
Signor vice presidente del consiglio dei Ministri, on. Luigi di Maio
Signor vice presidente del consiglio dei Ministri, on. Matteo Salvini
Signor ministro dei Trasporti, on. Danilo Toninelli
Sono un artigiano e opero da trent'anni nel settore illuminotecnico. Ho realizzato l'impianto di illuminazione della Stazione Tav di Afragola nel 2017 con un contratto di subappalto col gruppo Astaldi. Qualche settimana fa il gruppo ha chiesto e ottenuto presso il Tribunale di Roma un concordato in continuità aziendale. Tutti i suoi debiti saranno congelati e i suoi creditori dovranno attendere mesi prima di riuscire a vedere saldate almeno in parte le proprie fatture. La mia ditta, d'intesa con Astaldi, ha ceduto i propri crediti a una società di factoring con un contratto pro solvendo, che nella mia ingenuità ritenevo fosse pro soluto. Astaldi non ha pagato e oggi mi ritrovo debitore, nei confronti della banca, di somme che non potrò mai restituire.
Prima di accettare questo lavoro non avevo debiti. In un anno sono diventato debitore di oltre mezzo milione di euro. Guardo le immagini apparse nelle migliori riviste di architettura col mio impianto di illuminazione, bello come lo aveva immaginato Zaha Hadid, e penso alle tante notti trascorse sulle piattaforme, coi miei dipendenti e con mia moglie, unica lavoratrice donna di tutto il cantiere, per rispettare i tempi dell'inaugurazione e per consentire all'allora premier Paolo Gentiloni di dare all'Europa l'immagine di un'Italia sana, efficiente e bella. Più volte sollecitai ad Astaldi, insieme al pagamento delle mie fatture, anche la cura e la manutenzione necessaria per preservare questo gioiello architettonico dalla decadenza precoce.
Non ho mai ricevuto risposta. Ho avviato la procedura prevista dall'art. 105 del codice degli appalti, nei confronti di Italferr, per ottenere di essere pagato dalla stessa stazione appaltante, ma sono abbastanza certo che anche quest'ultima speranza si arenerà nel binario morto di qualche cavillo burocratico. Alzo gli occhi verso lo Stato italiano, come quando si guarda un amico e non lo si riconosce.
Avevo accolto con speranza ed entusiasmo il governo del cambiamento per le buone parole dette nei confronti delle imprese, per l'intuizione di usare come icona qualche imprenditore fallito al quale dire: lo Stato non ti lascerà solo. E invece siamo più soli di prima. Lo Stato continua a non pagare i suoi debiti, pretende la regolarità contributiva nonostante la propria inadempienza, pretende il versamento delle imposte e dell'Iva, anche se le fatture non sono state incassate; continua a opprimere con criteri fiscali folli, emettendo titoli esecutivi senza alcuna possibilità di difesa, sequestrando e pignorando anche i mezzi di produzione; a giorni approverà una riforma anche per le irregolarità formali che darà luogo a pene «esemplari», più severe di quelle riservate agli stupratori e ai rapinatori; induce le imprese al fallimento per punire coloro che hanno creduto nel sogno di fare impresa e di creare occupazione e che, a causa delle politiche ostili dello Stato stesso, hanno prodotto solo debiti.
Nessuna riforma fallimentare e un sistema tributario reso ancora più ostile, come se rinchiuso nel vostro labirinto ci fosse un oscuro minotauro che ha un incessante bisogno di sangue per alimentare la guerra dei sondaggi e il vostro presunto consenso dal basso. L'Italia che produce non odia, non popola i social, non fa manifestazioni di piazza non ne ha il tempo. Sta sulle piattaforme, nelle officine, negli studi professionali, nelle campagne e continua a sopportare le angherie di uno Stato nemico, capace di ascoltare solo chi sa urlare più forte.
Non ho più molto tempo e ho sempre meno speranze.
Aspetto un segnale concreto.
Raffaele Congiu
*artigiano Titolare della Rosaneon snc
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