Addio alla piccola borghesia e alla classe operaia: la nuova società italiana di oggi è suddivisa in 9 gruppi sociali, i più corposi sono le famiglie di impiegati e gli operai in pensione.
La nuova classificazione è stata fatta dall'Istat nel Rapporto Annuale 2017, che ha preso in esame la situazione professionale, la cittadinanza, il titolo di studio, il numero di membri della famiglia, associando quindi alla componente economica quella culturale e quella socio-demografica. Il risultato sono nove gruppi distinti in base al reddito equivalente medio: la spesa media per consumo va da un minimo di 1.697 euro per le famiglie a basso reddito con stranieri a un massimo di 3.810 euro per la classe dirigente (la media delle famiglie è 2.499 euro).
Secondo l'Istat, la perdita del senso di appartenenza a una certa classe è più forte per la piccola borghesia e la classe operaia: la prima si distribuisce tra famiglie di impiegati, operai in pensione e famiglie tradizionali della provincia. La classe operaia si è frammentata tra i giovani blue-collar e nelle famiglie a basso reddito. "La classe operaia ha abbandonato il ruolo di spinta all'equità sociale mentre la borghesia non è più alla guida del cambiamento e dell'evoluzione sociale - scrive l'Istat - Una delle ragioni per cui ciò è avvenuto è la perdita dell'identità di classe, legata alla precarizzazione e alla frammentazione dei percorsi lavorativi, ma anche al cambiamento di attribuzioni e significati dei diversi ruoli professionali".
Le nuove classi sociali
I 9 gruppi sociali in cui è divisa la società italiana sono: i giovani "blue collar"; le famiglie degli operai in pensione con reddito medio; le famiglie a reddito basso con stranieri; quelle a reddito basso di soli italiani; le famiglie tradizionali della provincia; il gruppo formato da anziane sole e giovani disoccupati; le famiglie benestanti di impiegati; le famiglie con "pensioni d'argento" e infine la classe dirigente.
L'Istituto di statistica indica che su 25,7 milioni di famiglie italiane, più del 40 per cento è costituito da operai in pensione (5,8 milioni di famiglie e 10,5 milioni di persone) e impiegati (4,6 milioni per un totale di 12,2 milioni di individui). Se nel primo caso si parla di famiglie unipersonali o formate da coppie senza figli, con al massimo la licenza media e un reddito non distante dal valore medio nazionale, nel secondo caso sono coppie con figli e un tenore di vita buono. La persona di riferimento ha 46 anni in media, possiede almeno il diploma di scuola superiore (1 su 4 ha la laurea) ed è donna in 7 casi su 10.
Il terzo gruppo più numeroso è quello costituito in particolare da anziane sole e poi da giovani disoccupati: 3,5 milioni di famiglie e 5,4 milioni di individui, con un rischio povertà che interessa 4 famiglie su 10. Seguono poi i "blue collar", 2,9 milioni di famiglie per 6,1 milioni di individui. La persona di riferimento ha in media 45 anni, in 3 casi su 4 è operaio a tempo indeterminato e il rischio povertà è contenuto. Il gruppo "pensioni d'argento" è composto da 2,4 milioni di famiglie e 5,2 milioni di individui, con livello di istruzione alto, reddito elevato, spese più alte.
Le famiglie a basso reddito di soli italiani sono 1,9 milioni per un totale di 8,3 milioni di persone: si tratta per di più coppie con più figli, con titolo di studio basso, un reddito familiare di circa il 30 per cento in meno della media nazionale e sono per un terzo a rischio povertà. Le famiglie a basso reddito con stranieri sono 1,8 milioni (7,1%), per un totale di 4,7 milioni di individui. È il gruppo più giovane, con età media della persona di riferimento di 42,5 anni, nella metà dei casi con diploma di scuola superiore e 1 su 10 con laurea. Ciononostante presenta le peggiori condizioni economiche, con uno svantaggio di circa il 40 per cento rispetto alla media e la maggiore incidenza di povertà assoluta (27,9% di famiglie e 34,4 di individui).
La classe dirigente include 1,8 milioni di famiglie (7,2%) per un totale di 4,6 milioni di individui: per il 40 per cento si tratta di coppie con figli, la persona di riferimento ha in media 56,2 anni ed è laureata. Il reddito è più alto del 70 per cento rispetto alla media. "La classe dirigente - spiega l'Istat - è la classe dell'innovazione sociale, in quanto detentrice dei mezzi di produzione e del potere decisionale e il titolo di studio è elemento determinante".
Infine, il gruppo più esiguo, quello delle famiglie tradizionali della provincia: meno di un milione di famiglie (3,6 milioni di individui) numerose, con figli e nonni, dove il percettore di reddito è un uomo, che possiede al massimo la licenza media. È uno dei gruppi a minore benessere monetario e la quota di famiglie in grave deprivazione è dell'11,8 per cento.
Differenze reddito tra Nord e Sud
Nei gruppi sociali l'incidenza della povertà assoluta (che nel 2015 ha riguardato circa 1,6 milioni di famiglie) è più elevata tra le famiglie a basso reddito con stranieri (27,9%); queste rappresentano il 32,4% di tutte le famiglie povere in termini assoluti e il 37,5 per cento degli individui poveri. La povertà assoluta è diffusa anche nelle famiglie a basso reddito di soli italiani (12,7%), nel gruppo di anziane sole e giovani disoccupati (7,2% e 13,4%); nelle famiglie tradizionali della provincia (8,4%).
Guardando alla distribuzione territoriale dei nove gruppi sociali, l'Istat nota che persiste il dualismo nel Paese: nel Mezzogiorno sono più presenti i gruppi con profili meno agiati, al Centro-Nord gruppi sociali a medio o alto reddito, anche se le famiglie a basso reddito con stranieri, per scelte lavorative e minori legami terrioriali, risultano prevalentemente collocate nelle zone settentrionali del Paese.
Italiani sedentari e in sovrappeso
Un popolo sempre più sedentario e sovrappeso, in cui gli stili di vita salutari sono direttamente proporzionali al reddito: chi vive una condizione economica e di istruzione migliore sta complessivamente meglio delle fasce più disagiate. In generale, i comportamenti a rischio per la salute sono molto legati, positivamente, alla condizione economica e al livello di istruzione e, negativamente, all'età.
Tra gli uomini oltre uno su due è in eccesso di peso, mentre tra le donne il rapporto scende a una su tre. L'eccesso di peso aumenta con l'età e contestualmente le differenze di genere si ampliano fino ai 65 anni, per poi ridursi nuovamente tra i più anziani. Dal 2008 al 2016 la prevalenza di eccesso di peso è rimasta pressoché stabile nel complesso della popolazione, ma con due casi negativi: è aumentata nelle famiglie a basso reddito con stranieri (dal 39,8 nel 2008 al 46,2 per cento nel 2016) e nelle famiglie tradizionali della provincia (dal 44,2 al 48,3 per cento), facendo emergere ancora una volta una convergenza tra stili di vita di italiani e stranieri.
Le quote più basse di eccesso di peso si osservano nelle famiglie della classe dirigente (34,9 per cento nel 2016). Le più alte invece nelle famiglie degli operai in pensione, i cui componenti sono mediamente più anziani e con più bassi titoli di studio. Anche per la sedentarietà emerge un forte gradiente Nord-Sud. Nel 2016, il 39,2 per cento della popolazione di 3 anni e più non pratica sport nè attività fisica nel tempo libero. Le donne sono più sedentarie degli uomini (43,4 per cento contro 34,8 per cento). La quota di sedentari si mantiene bassa tra i minori, ma aumenta nelle fasce di età successive. Di conseguenza, percentuali particolarmente critiche si osservano tra gli appartenenti alle famiglie di operai in pensione e al gruppo anziane sole e giovani disoccupati (rispettivamente 52,9 per cento e 51,9 per cento).
Tuttavia, le famiglie delle pensioni d'argento sono tutelate da un livello di istruzione più elevato e da una migliore condizione economica, e mostrano percentuali decisamente più basse, appena sopra il 30 per cento. Anche le famiglie a basso reddito con stranieri o di soli italiani, su cui pesano le cattive condizioni economiche, sono caratterizzate da elevata sedentarietà (46,1 per cento e 42,3 per cento rispettivamente). Le persone sedentarie sono il 19,2 per cento della classe dirigente e il 25,5 per cento per le famiglie di impiegati, gruppi relativamente giovani e ad alto reddito.
Consumo di alcol e tabacco
Quanto all'alcol, nel 2016 il 64,2 per cento della popolazione di 11 anni e più dichiara di aver consumato almeno un tipo di bevanda alcolica nell'anno. Il 21,4 per cento consuma bevande alcoliche tutti i giorni, mentre è pari al 43,2 per cento la quota di coloro che consumano in maniera più occasionale. Il consumo al di fuori dei pasti riguarda invece il 29,2 per cento della popolazione. Il comportamento a rischio verso l'alcol ha una forte connotazione di genere: nel 2016 i comportamenti di consumo più a rischio,25 il consumo abituale eccedentario e il binge drinking riguardano il 23,2 per cento degli uomini e il 9,1 per cento delle donne (15,9 per cento in media nazionale). Le persone appartenenti al gruppo famiglie a basso reddito con stranieri si caratterizzano per stare al livello più basso della graduatoria per quasi tutte le modalità di consumo di alcol.
Dati positivi continuano ad arrivare dalle statistiche sul fumo: in Italia l'abitudine a fumare è ormai in diminuzione da anni (dal 21,5 per cento nel 2008 al 19,2 nel 2016), anche se in misura più sensibile tra gli uomini (27,6 per cento nel 2008, 24,0 nel 2016) che tra le donne (15,8 e 14,7 per cento nei due anni considerati). Anche qui, generalmente, nei gruppi a più elevato reddito e con persona di riferimento ad alto titolo di studio si osserva una più bassa incidenza di fumatori: il 17,1 per cento nella classe dirigente, il 17,7 per cento tra le pensioni d'argento; tuttavia, sono i membri delle famiglie degli operai in pensione a registrare la minore incidenza di fumatori, con il 14,7 per cento nel 2016. Il comportamento maggiormente a rischio rispetto al fumo è invece nelle famiglie dei giovani blue-collar. Peraltro, mentre gli uomini del gruppo seguono la tendenza generale e mostrano un'incidenza di fumatori in diminuzione, dal 38,4 per cento nel 2008 al 35,3 nel 2016, le donne mostrano invece un aumento della propensione al fumo: dal 23,4 per cento nel 2008 al 25,1 nel 2016.
Record negativo di nascite
L'Italia è un Paese che continua ad invecchiare: al 1° gennaio 2017, sono 13,5 milioni gli italiani che hanno 65 anni e più d'età, e sono il 22 per cento della popolazione. L'invecchiamento è uno degli aspetti demografici che contraddistinguono il nostro Paese nel contesto internazionale. Tre gruppi sociali su 9 tra quelli individuati sono caratterizzati dalla elevata presenza di persone anziane: le "famiglie degli operai in pensione" (64,6% di persone con 65 anni e più), "anziane sole e giovani disoccupati" (42,7%) e "pensioni d'argento" (40,1%).
Nel 2016, sottolinea ancora l'Istat, si registra un nuovo minimo delle nascite, che sono state 474mila (erano 486mila nel 2015). Il numero medio di figli per donna si attesta a 1,34 (1,95 per le donne straniere, 1,27 per le italiane). I decessi sono 608mila, un livello elevato ma in linea con la tendenza all'aumento dovuta all'invecchiamento della popolazione. Il rapporto tra numero di nati e di morti segna nel 2016 il secondo maggior calo di sempre (-134mila), dopo quello del 2015.
Lo scorso anno la speranza di vita alla nascita ha raggiunto 80,6 anni per gli uomini e 85,1 per le donne, Al 1° gennaio 2017 la quota di giovani (0-14 anni) scende ulteriormente rispetto all'anno precedente, raggiungendo livelli mai sperimentati in passato (13,5%). La popolazione in età attiva (15-64 anni) corrisponde al 64,2 per cento del totale. Gli italiani che hanno 80 e più anni sono 4,1 milioni (6,8%): l'indice di vecchiaia al 1° gennaio 2017 è pari a 165,2 persone di 65 anni e oltre ogni 100 giovani con meno di 15 anni, collocando il nostro Paese tra quelli a più elevato invecchiamento al mondo.
A partire dal 2015, anno "eccezionale" per la mortalità registrata, la popolazione residente si è ridotta di 130mila unità (-2,1 per mille). La diminuzione prosegue nel 2016 (-86mila residenti) e, secondo le stime Istat al 1° gennaio scorso, la popolazione residente scende a 60,6 milioni.
Il saldo migratorio con l'estero resta positivo: nel 2016 è pari a +135mila, un livello analogo a quello dell'anno precedente, ma determinato da un maggior numero di ingressi (293mila) e da un nuovo massimo delle uscite (157mila). In particolare è la dinamica demografica dei cittadini italiani ad essere negativa: la popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni (89mila residenti in meno). Per i cittadini italiani risultano negativi sia il saldo naturale (-189mila) sia quello migratorio con l'estero (-80mila).
Forte la riduzione di numeri per quanto riguarda la generazioni più giovani, praticamente la metà delle generazioni nate nel periodo del "baby boom": l'Italia è oggi uno dei paesi con il più basso peso delle nuove generazioni. La popolazione residente di età compresa tra 18 e 34 anni è diminuita di circa 1,1 milioni tra il 2008-2017 (da 12 a 10,9 milioni) e solo il contributo positivo dei cittadini stranieri ha attenuato tale dinamica. L'Istat osserva che le trasformazioni strutturali della popolazione hanno un impatto fortissimo su fenomeni quali nascite, matrimoni, occupazione. Ad esempio, la forte riduzione del numero di donne tra i 18 e i 49 anni ha una conseguenza diretta sulla riduzione delle nascite: i due terzi del calo delle nascite stimato tra il 2008 e il 2016 si deve attribuire alla diminuzione delle popolazione femminile in età feconda, mentre la restante quota dipende dalla reale diminuzione della propensione ad avere figli.
Uso di internet
Nel tempo libero a disposizione, i giovani dedicano in media 42 minuti al pc o alla rete al giorno e si tratta del 40,6 per cento dei giovani fino a 24 anni. Anche per l'uso di internet, sono i giovani delle famiglie a basso reddito con stranieri e quelle della classe dirigente a dedicare minor tempo a questa attività (rispettivamente 32 e 35 minuti). Ciò accade, per una maggiore presenza di bambini in questi gruppi: infatti il tempo dedicato all'uso di pc e internet cresce al crescere dell'età. Tra gli adulti il tempo complessivo dedicato all'uso di pc o internet al di fuori del tempo lavorativo è basso (in media 20 minuti nel giorno medio). La quota di quanti hanno dichiarato di farne uso almeno una volta nel giorno medio settimanale (23,9 per cento) è più che raddoppiata rispetto al 2008, quando ne dichiarava l'utilizzo il 10,2 per cento, e quasi quadruplicata rispetto al 2003 (quando era il 6,2 per cento).
Millennials bamboccioni
Il 68 per cento dei giovani fino a 34 anni di età, ossia 8,6 milioni di persone, vive ancora con mamma e papà. La maggior parte di quelli tra i 25 e i 34 anni sta in una famiglia di operai in pensione o di anziane sole. E negli ultimi otto anni, sono aumentati. Rispetto al 2008, tra i giovani di 15-45 anni, è diminuita la quota di occupati (dal 39,1% al 28,7% del 2016) ed è aumentata l'incidenza dei disoccupati e degli studenti (+5,1% e 3,4% rispettivamente). Il calo degli occupati è più forte nei gruppi delle famiglie degli operai in pensione e delle anziane sole e di giovani disoccupati (-15,5 e 15,9%) ed è minore per quelli della classe dirigente e delle famiglie di impiegati (-4,4 e 3,1%).
La famiglia d'origine condiziona molto la professione dei giovani: l'incidenza dei giovani tra i 15 e i 34 anni che svolgono una professione qualificata varia da un minimo del 7,4% per chi proviene da una famiglia a basso reddito con stranieri fino a giungere al 42,1% nei gruppi delle pensioni d'argento e al 63,1% in quello della classe dirigente. Anche la difficoltà di trovare un lavoro adeguato al titolo di studio conseguito è un problema trasversale ai giovani occupati che vivono ancora in famiglia. Nel complesso, il 42,5% svolge una professione per la quale è richiesto mediamente un livello di istruzione inferiore a quello posseduto, con i valori più bassi tra i giovani che fanno parte delle famiglie a basso reddito con stranieri e di quelle della classe dirigente (34,5 e 34,6%) e i valori più elevati tra i giovani delle famiglie a basso reddito di soli italiani e di quelli delle famiglie di impiegati (45,2% in entrambi i casi).
Stranieri "italianizzati"
Negli ultimi dodici mesi, l'aumento di cittadini stranieri residenti in Italia è stato il più modesto degli ultimi anni. Al 1° gennaio 2017, sono poco più di 5 milioni, l'8,3 per cento dei residenti, con una netta prevalenza al centro-nord: rispetto al 1° gennaio 2016, l'incremento è stato di appena 2.500 unità. A tale rallentamento contribuisce soprattutto la rapida crescita delle acquisizioni della cittadinanza italiana: se ne contano 29 mila nel 2005, 66 mila nel 2010, 178 mila nel 2015 e 205 mila nel 2016. Circa il 38 per cento delle acquisizioni riguardano minorenni e per metà dei casi individui con meno di 30 anni di età.
Ad alimentare il numero degli stranieri in Italia continuano a concorrere non solo le migrazioni dall'estero - il saldo migratorio nel 2016 ammonta a oltre 200 mila stranieri in più - ma anche i tanti nati nel nostro Paese da genitori entrambi stranieri, le cosiddette "seconde generazioni". Un nato su cinque ha almeno un genitore straniero. Dal 2008 le nascite che ogni anno hanno riguardato coppie non italiane sono più di 70 mila. I nati da genitori entrambi stranieri aumentano fino al 2012, quando raggiungono il valore massimo (78.577 nati); dal 2013 si osserva una moderata decrescita che riporta, nel 2015, su valori vicini a quelli di sette anni prima (71.672).
Anche la struttura per età degli stranieri mostra segnali di invecchiamento. Al 1° gennaio 2017, la classe di età tra 18 e 34 anni pesa quasi per il 30 per cento sul totale della popolazione straniera, quella italiana solo per il 17 per cento; al contrario, le persone con 65 anni e più tra gli stranieri hanno un'incidenza di circa il 4 per cento, mentre rappresentano circa un quarto degli italiani. Tra il 2008 e il 2017 l'età media della popolazione straniera è passata da 31,1 a 34,2 anni: ciò accade sia perchè alcune delle comunità che hanno fatto il loro ingresso nel nostro Paese hanno una età media più alta (è il caso di quelle dell'Est europeo), sia per effetto della progressiva stabilizzazione delle collettività storiche. Ad "invecchiare" sono soprattutto le donne straniere: la quota di quelle tra i 35 e i 49 anni è passata dal 42,7% del 2008 al 51,9 del gennaio 2017.
Al 1° gennaio 2016, il 30 per cento degli stranieri residenti in Italia è cittadino di un paese dell'Unione europea. I romeni sono la collettività più numerosa, quasi uno straniero su 4 (il 23%); seguono albanesi (9,3%) e marocchini (8,7%).
Dal 2011, con la crisi economica già in atto da alcuni anni, la crescita della presenza non comunitaria è fortemente rallentata. Al 1° gennaio 2016 sfiorano i 4 milioni i cittadini non comunitari con un regolare permesso di soggiorno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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