Questo giornale nasce nel 1974 da una costola del Corriere della Sera dopo che il quotidiano di via Solferino era diventato l'organo ufficiale della rivoluzione sessantottina. L'aria nuova che inevitabilmente sprigiona qualsiasi ribellione, nelle stanze di via Solferino era diventata aria putrida. L'inconsistenza della proprietà, una famiglia di ereditieri miliardari nullafacenti e annoiati dalla vita, aveva permesso - di più, benedetto - che il giornale finisse nelle mani di un vero e proprio soviet. Un tribunale del popolo, composto da giornalisti, tipografi e sindacalisti invasati della rivoluzione comunista, aveva esautorato di fatto il direttore. La linea editoriale, il contenuto degli articoli e pure i titoli dovevano avere l'approvazione di questo "ufficio censura", pena il blocco delle rotative e quindi l'uscita del quotidiano. Chi si opponeva al pensiero unico veniva emarginato, deriso, bollato come fascista e non di rado minacciato.
In questo clima di terrore e di follia un gruppo di giornalisti non allineati decise che era venuto il momento di fare le valigie per mettersi in proprio. Scendere dal Corriere è un po' come per un pilota lasciare la Ferrari, per un calciatore strappare il contratto con il Real Madrid. Ci vogliono coraggio e incoscienza. Indro Montanelli e una prestigiosa pattuglia di cronisti, inviati e commentatori (nessuno dei quali più ragazzino) fece il grande passo, convinti che una informazione non asservita alla sinistra potesse avere vita. Avevano ragione, ed eccoci qui, quarant'anni dopo, alle prese - in un tempo diverso e con modalità differenti - con la stessa battaglia di libertà. Prova ne è che la prima pagina del primo numero è ancora attuale: la litigiosità improduttiva della politica, l'oppressione fiscale, il problema monetario, le polveriere alle porte di casa. Il titolo principale, quel 25 giugno 1974, era: «Fanfani conta amici e nemici» e nel sommario si sintetizzava la difficoltà del premier con il suo partito, la Dc, e gli alleati di governo. Titolo di commento: «Temporale in vista». Seconda notizia: «Quanto pagheremo con le nuove tasse». Terza: «Il tradimento delle monete». Nel quarto si raccontava del pericolo che arrivava dall'Africa per le guerre civili in Angola e Mozambico.
Bene. Cambiamo «Fanfani» con «Renzi» , «Angola» con «Libia» e quella numero uno potrebbe essere la prima pagina del quotidiano in edicola oggi. Su questi temi, chi si è succeduto in queste stanze, non ha mai cambiato idea né linea: meno politica, meno stato, più libertà fiscale e monetaria. La prova che i Fondatori avevano visto giusto è che i rivali di allora (in primis il partito comunista) ,sia pure con colpevole ritardo e ritrosia, stanno venendo loro sulle nostre posizioni e non viceversa. Il renzismo infatti, almeno nelle parole, è una sconfessione di quarant'anni di politiche di sinistra illiberali e fallimentari.
La coerenza de Il Giornale non è stata scalfita neppure dalla ferita dell'abbandono di Indro Montanelli. Per quello che ne so, quello strappo non fu figlio del pericolo di perdere l'autonomia con la discesa in politica della famiglia dell'editore. Più semplicemente Montanelli non riuscì a reggere la pressione psicologica di una situazione del tutto inedita. Mi immagino che Indro si chiese: se parlerò bene di Berlusconi mi daranno del servo, se ne parlerò male dell'ingrato. Che faccio? Non trovando via d'uscita lasciò. Fu un peccato e uno sbaglio. Il suo successore, Vittorio Feltri, dimostrò senza ombra di dubbio che la via d'uscita c'era ed era semplice: fare il giornalista. Feltri mi ha raccontato che durante la sua direzione - che fu di straordinario successo - non ebbe la minima interferenza da parte dell'editore e che i contatti con Silvio Berlusconi premier furono rari, di grande cortesia e rispetto. Cosa che, vent'anni dopo, posso confermare. La famiglia Berlusconi è fatta da uomini liberali veri e questo è un giornale libero e orgoglioso - non sempre ricambiato - di sostenere un'area politica della quale condivide valori e visione.
Montanelli stava alla larga dalla retorica più del diavolo dall'acqua santa. Era quindi sincero quando scriveva, nell'editoriale del primo numero: «Una sola cosa vogliamo dire al lettore: questo giornale non ha padrone perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo lettore puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te lo offriamo».
Un impegno ancora valido, e sono certo di poterlo dire a nome di tutti colleghi che in questi fantastici quarant'anni hanno avuto l'onore di essere assunti e che hanno lavorato con passione, impegno e straordinaria professionalità. Un grazie a loro, un grazie all'editore che ci ha dato e ci da le risorse per andare avanti e un grazie ai nostri «padroni», cioè a tutti voi che ogni giorno ci comprate e leggete.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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