L'accoglienza di Capalbio: no ai profughi ma sì alle statue

Adesso la "nave della tolleranza" sbarca nel feudo dei radical chic. Che gli immigrati li ha respinti

L'accoglienza di Capalbio: no ai profughi ma sì alle statue

La nave della tolleranza, o meglio The ship of tolerance, istallazione di Ilya ed Emilia Kabakov approdata nelle campagne di Capalbio, ispira molti sentimenti a noi beceri populisti. Il primo di tutti una grossa e amara risata. Proprio a Capalbio doveva sbarcare? Il comune non solo non ha accolto la dozzina di immigrati che gli erano stati destinati, ma non lo farà neanche nel futuro. Insomma di istallazioni, così adesso si chiamano le cose fighette a cui non sappiamo dare un nome, ce ne basterebbe una: all'ingresso del paese dovremmo sostituire la tipica scritta italica di «comune denuclearizzato» o comune della pace, con quella di «comune deimmigrato». Soprattutto in considerazione del fatto che questa isola felice, è un'isola che non c'è in Toscana: Capalbio è uno dei rarissimi comuni che è riuscito, nonostante tutta la sua tolleranza, a non beccarsi alcun colored.

La grande barca pesa otto tonnellate, è fatta di legno (pensa che casino trasportarla a Capalbio), è lunga venti metri, larga sei e alta tredici. Questa meraviglia della bontà è stata realizzata nel 2005 (citiamo il Corriere della Sera) per «comunicare pace, accoglienza, scambio tra culture. Migliaia di bimbi l'hanno decorata rispondendo così ai muri alzati dagli adulti».

È passata per Venezia, Miami, St Moritz (con cena al Dracula), L'Avana, Mosca e New York. Un giretto a St Barth non lo ha ancora fatto. C'è poco da scherzare: sono le classi dirigenti che si devono educare alla tolleranza, è da là che nasce tutto. Per esempio i loro figli che è bene che sappiano che il diverso non deve far paura. Quel genio di Sordi ne I nuovi mostri diceva: «Sono stato educato da tre nurse di tre nazionalità diverse, una più...».

E però qui cade la contraddizione. La nostra, si intende. Non esiste gente più accogliente e tollerante delle famiglie che hanno casa a St Moritz e Capalbio (lo dico quasi in modo autobiografico). Sapete quante colf filippine sono impiegate in queste zone? Quante badanti cingalesi o infermiere romene? Una delle scritte fatte dai giovani pargoli sulla nave è peace e love. Sì, è vero. Merito, c'è da scommetterci, della sua tata. Le donne filippine sono state accolte come sorelle, mamme, nonne. La loro integrazione è perfettamente riuscita.

Esiste una classe sociale che va appunto dal Palace all'Ultima spiaggia, che mette in pratica ciò che Salvini&co ringhiano ogni giorno: gli immigrati se li sono portati a casa loro. Gli hanno dato un letto, la manina dei figli, la loro prima educazione e il fianco del letto dell'anziana nonna. Pagano i contributi trimestrali all'Inps, e corrispondono stipendi. Decine di migliaia di filippini accolti tra noi. Gli amici di Capalbio hanno fatto la loro parte. Hanno contribuito al multiculturalismo, sanno cosa voglia dire aprirsi al mondo.

Certo per l'attuale ondata di nigeriani, siriani, congolesi, marocchini si devono trovare

nuovi benefattori. Per questo a Capalbio può coesistere la nave della tolleranza e lo stop ai nuovi immigrati: hanno già dato. È il comune che ha il più alto numero di extracomunitari per famiglia e per di più retribuiti.

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